di Katia Regina
Se Paolo avesse l'utero l'aborto sarebbe libero. Erano i primi anni Settanta, qualche anno dopo la pubblicazione dell'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, avevo otto anni quando mi sono imbattuta in questa scritta su un muro della città in cui vivevo, ossia Torino. Non capivo a chi fosse rivolto quel messaggio così diretto, la parola aborto stuzzicò la mia curiosità, non ricordo neppure chi mi chiarì l'enigma, non era lecito, in quegli anni, che una ragazzina indagasse su cose così delicate, cose da grandi. A tredici anni entrai per la prima volta in biblioteca, il primo libro che scelsi autonomamente di leggere fu: Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci. Un battesimo di sangue, certo, ma anche l'inizio di una grande storia d'amore tra me e i libri. Perché ho iniziato raccontando questo episodio così personale? Semplice, perché questa settimana l'argomento che tratterò è molto delicato, anche se coinvolge tutti fa parte della sfera intima di ciascuno, ecco perché mi sono concessa questo breve prologo personale che, in qualche modo, ha segnato la mia formazione sul tema dell'aborto.
La vicenda è ormai nota, la riassumo per quanti non la conoscono, un prete di Marsala, durante un incontro coi fedeli, ha paragonato la legge sull'aborto, e dunque i legislatori e le donne che vi ricorrono, al dottor Mengele, lo spietato nazista che faceva esperimenti sui bambini nei campi di sterminio. Tutto questo nel Giorno delle Memoria, anziché commemorare i milioni di ebrei morti, padre Bruno, li ha usati come pretesto per parlare di qualcosa che, probabilmente, ha ritenuto più urgente.
La mia riflessione non è rivolta al prelato, di lui davvero poco mi importa, penso piuttosto alla comunità dei suoi fedeli, in tanti si stanno spendendo in sua difesa, mi auguro che tra le donne della sua parrocchia non vi sia invece qualcuna che, per gravi motivi, non sia stata costretta a ricorrere alla pratica abortiva. Magari una credente sincera, devota a Dio, insomma una cattolica che ha vissuto sulla propria pelle il dramma di dover fare questa scelta, sicuramente per evitare mali maggiori. Non oso pensare ai suoi tormenti spirituali, il non sentirsi più degna di appartenere alla sua comunità religiosa. A questa donna, ma anche al padre del figlio mai nato, vorrei provare a portare un po' di conforto, ma non lo farò con parole mie, non ne dispongo di adeguate in quanto agnostica. Citerò allora un estratto di un discorso di Papa Francesco.
...Ma una cosa è l’aborto, un’altra cosa è la donna che abortisce e il medico che le procura l’aborto. Se queste persone comprendono il male commesso verso quell’esserino innocente (a volte procurato per evitare altri mali più incombenti), la Chiesa di Francesco è pronta a concedere il perdono nel modo più semplice perché ciò che finora era riservato ai vescovi viene ora concesso ordinariamente a tutti i sacerdoti. Scrive il Papa: «Concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto». Perché? Perché «posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere».
Questa citazione la potete trovare pubblicata su Repubblica del 22 novembre 2016, una lunga riflessione del teologo Vito Mancuso che aggiunge, tra le altre cose:
… il compito della Chiesa, dichiara finalmente un Papa, è un altro: non di essere l’ennesima istituzione governata dal potere e dalla ricchezza, ma di essere “segno di contraddizione”, paradosso, scandalo, e così di rimandare a un altro stile e a un’altra possibile vita. È l’utopia della gratuità, del disinteresse, della generosità, della nobiltà d’animo: di tutto ciò a cui Francesco si riferisce dicendo «misericordia». Questa parola un po’ oleosa e consunta per il linguaggio contemporaneo, e che nessuno quasi usa più, acquista con lui un sapore nuovo e una freschezza inaspettata …
Consigli per la lettura: tutti i libri di Vito Mancuso; Nessuno sa di noi di Simona Sparaco
un film da vedere: Agnus Dei