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15/02/2022 06:00:00

L'amore ai tempi del coleravirus

 

 

 

 

di Katia Regina - Di cosa parliamo quando parliamo d'amore: il titolo di un libro di Raymond Carver è, a mio dire, il titolo più attraente della letteratura contemporanea.

Un miracolo che squarcia il velo grigio che tutto ammanta. Nella settimana di San Valentino è il regalo perfetto, insieme a qualche cioccolatino da scartare e mangiare durante la lettura. La cura da somministrare, come un vaccino, a quanti ancora si interrogano su questo sentimento necessario come l'aria e più di questa. Perché sconfiggere una pandemia non serve a niente se i sopravvissuti non vivono questa tensione verso ciò che li circonda. Parlare d'amore, di questi tempi, è il vero atto rivoluzionario e a pensarci bene lo è sempre stato dai tempi dell'Avvento di un Uomo che oggi sarebbe un palestinese che ha voluto sfidare la legge del suo tempo fino all'estremo sacrificio. E noi che contiamo il Tempo da allora non abbiamo compreso che non era il Tempo il messaggio che ci portava.

 

Corruzione, malaffare, torture e ingiustizie hanno sempre accompagnato la storia dell'umanità, non c'è nessun escalation nei giorni nostri. La civiltà post-moderna ha solo perfezionato la tecnica distruttiva, fondamentalmente siamo rimasti ancora quelli della pietra e della fionda... ancora eserciti schierati ai confini, perché alcuni uomini potenti non vogliono smettere di sfidarsi a chi la fa più lontano, adulti mancati che giocano a Risiko in un torneo che porterà il vincitore su un podio tanto alto quanto il cumulo dei morti ammucchiati. Gente infame che non sa cos'è il pudore... cantava Battiato.

 

Come possiamo proteggerci da tutto questo dolore io non lo so. Forse parlando d'amore, leggendo l'amore nei libri degli altri, coltivando l'amore che ancora insiste nelle piccole cose di tutti i giorni. Abbiamo imparato a proteggerci dal dolore fisico sin da bambini, sperimentando a nostre spese le situazioni di pericolo, il fuoco lo tocchi una sola volta per curiosità, ma non siamo attrezzati per difenderci dal dolore sociale. La neuroscienza ha scoperto che le strutture cerebrali che si accendono attraverso il dolore fisico sono le stesse che si attivano nelle relazioni sociali negative, ma di tutto questo dolore pare proprio non importi niente a nessuno. C'è bisogno di vedere il sangue che esce da una qualche ferita e talvolta non basta neppure questo. Esiste anche un'altra forma di dolore, quello civile. Quella sofferenza che, anche se non ci tocca personalmente, si attiva ogni volta che ci troviamo dinnanzi a violenze perpetrate da quanti avrebbero dovuto proteggere i fragili.

Nella settimana di San Valentino avrei voluto parlare d'amore, non so se ci sono riuscita.

Consigli per la lettura: Ciao e poi di Eric Berne; Storia del dolore di Vittorino Andreoli.