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03/11/2022 06:00:00

Sistema Montante, il maxi processo è un bluff: per la sentenza ci vorranno otto anni

Rischia di finire con una clamorosa farsa tutta la vicenda giudiziaria legata all'ex leader di Confindustria in Sicilia, Antonello Montante. E' stato condannato a 8 anni, in secondo grado, perchè ritenuto a capo di un'associazione a delinquere dedita alla corruzione e allo spionaggio giudiziario. In primo grado la condanna era stata addirittura di 14 anni.  Stiamo parlando di un sistema criminale che - altro che la mafia ... - ha deciso molta parte dei destini della Sicilia negli ultimi 15 anni. 

Il fatto è che, in parallelo, c'è un altro maxi processo legato al sistema Montante. Che nasce dalla riunione di due tronconi, che da Montante si allarga alla corruzione alla Regione. E' lo stesso processo che vede coinvolto, tra gli altri, l’attuale presidente della Regione, Renato Schifani, per concorso esterno in associazione a delinquere semplice e rivelazione di notizie riservate  e l’ex governatore Rosario Crocetta, per associazione a delinquere e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio.

Tra i 30 imputati ci sono l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito, il caporeparto Aisi Andrea Cavacece e altri ufficiali delle forze dell’ordine (nel primo troncone); le ex assessore Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, l’ex commissaria Irsap Maria Grazia Brandara e il re  dei rifiuti Giuseppe Catanzaro, oltre a imprenditori e all’ex direttore della Dia Arturo De Felice 

Il fatto è che l'unione dei due procedimenti, voluta per "evidenti ragioni di economia processuale" dal Tribunale, considerata la «comunanza di fonti di prova» fra i due procedimenti, non garantisce una maggiore velocità del processo. Tutt'altro. A cominciare ad esempio dalle tante istanea, giustamente, delle difese sull’«inutilizzabilità dell’attività dibattimentale fin qui espletata visto che non era presente né l’imputato né la difesa» con l’ovvia necessità di risentire i testi già sfilati nel primo troncone. Ed insomma, il rischio prescrizione è dietro l'angolo. 

Ieri li quotidiano La Sicilia ha fatto il punto:

"Il rito ordinario si trascina stancamente da quasi quattro anni, lo stesso tempo in cui nel processo a Silvana Saguto s’è arrivati alla condanna d’appello. Dal 2018 a oggi è stata sentita poco più della metà dei testi dell’accusa (circa un centinaio), ma adesso si deve ricominciare daccapo. Per intenderci: soltanto per acquisire le deposizioni di Alfonso Cicero e Marco Venturi, gli ex sodali poi diventati i principali accusatori del paladino dell’antimafia, c’è voluto un anno. Dovranno essere risentiti, con il controesame di molti più avvocati di imputati e parti civili".

Il tutto in un calendario che prevede solo 15 udienze in nove mesi, fino a Giugno 2023. Secondo i pm, con questi tempi, il maxi processo al sistema Montante si concluderà non prima di otto anni.  Quindi il rischio della prescrizione è concreto. I primi reati a rischio, fra il 2024 e il 2025, sono le rivelazioni di segreti d’ufficio (una delle quali riguarda proprio Schifani).  Poco dopo sarà il turno di alcune ipotesi di corruzione: a beneficiarne in particolare il “re dei supermercati” Massimo Romano e alcuni finanzieri. Ma sullo sfondo c’è anche il rischio per il reato associativo, contestato fino al 2018: al netto degli atti interruttivi ha un limite massimo di 15 anni.

In un binario morto anche l'inchiesta sul sistema Montante, a cui ha lavorato la commissione nazionale Antimafia presieduta da Nicola Morra. Una bozza di 203 pagine che non è stata approvata. La relazione cercava di ricostruire i pezzetti del mosaico che certifica l'«esistenza di un centro di potere, una mafia bianca anzi trasparente
(per citare le parole della gup Luparello nella sentenza di primo grado) inossidabile e solida». Una mafia, si legge nella premessa, «costruita attraverso l'intimidazione e da questa alimentata in uno scambio relazionale fatto di mistificazioni e di apparenti ingenuità, di ricatti e tacite promesse, capace di investire i livelli più altri di tutti i settori delle istituzioni e degli enti pubblici e di influire sulle scelte politiche e amministrative, sull'economia, sulle indagini giudiziarie e dell'informazione». Montante è stato in grado di creare «una rete di relazioni alterata nelle sue dinamiche da legami occultie da insani meccanismi di favore - scrive l’Antimafia - per chi di quel sistema faceva parte e di grave pregiudizio per chi ad esso si era contrapposto o non ne aveva rispettato i dettami».