Solo il 12% degli italiani, pensa che l’arresto del boss Matteo Messina Denaro abbia indebolito il sistema mafioso. Il dato emerge dalla terza ricerca di Libera curata da Demos sulla percezione dei cittadini della corruzione e delle mafie.
Otto cittadini su dieci pensano che “la mafia in Italia è forte come prima“. Cresce la componente di quanti si dicono a favore del cosiddetto “carcere duro“: dal 66% del 2020 il numero dei favorevoli sale all’81%. La controversa vicenda di Alfredo Cospito e l’ampia eco mediatica che l’ha circondata sembrano avere sortito una reazione rilevante nell’opinione pubblica. Ma in senso opposto a quello auspicato dall’anarchico, che proprio in questi giorni ha sospeso, dopo sei mesi, il suo sciopero della fame contro tale regime carcerario.
“Credo – commenta Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera – sia ormai inadeguata la parola ‘infiltrazione’ per descrivere il modo in cui le mafie inquinano il tessuto sociale ed economico, perché si tratta piuttosto di una coesistenza con tratti di connivenza. Si è prodotta un’osmosi tra i metodi delle mafie divenute ‘imprese’ e i meccanismi di un sistema economico che protegge i monopoli impoverendo il bene comune. Da realtà ‘infiltrate’, operanti sotto mentite spoglie, le mafie sono diventate parti attive dell’economia di mercato. E tutto ciò nell’indifferenza di tanti, troppi, ancorati a criteri obsoleti di lettura del fenomeno mafioso, criteri che ne alterano la percezione. Arretratezza culturale che può aprire le porte alla trasformazione del crimine organizzato in ‘crimine normalizzato'”.
“La pandemia – prosegue Luigi Ciotti – ha messo impietosamente in evidenza che nel nostro Paese – ma non solo nel nostro – i diritti sociali sono diventati in troppi casi privilegi dipendenti da dinamiche di mercato: se sei ricco hai diritto a lavoro, casa, istruzione, assistenza sanitaria, altrimenti arrangiati, sono fatti tuoi. Questa logica selettiva, esclusiva, è la morte della democrazia delineata nella nostra Costituzione. A fronte delle ingiustizie sociali, ovvero ai furti di bene comune, occorre un impegno comune, e questa ridotta conoscenza del Piano che quel bene collettivo dovrebbe alimentare, è un segnale preoccupante”. AGI