Dove sono finiti i partiti? Dove è finita la politica quella vera e bella che si consumava dentro le stanze delle segreterie e dei circoli? Dove il confronto poteva essere ferrato ma mai ammonito? Non c’è più per manifesta incapacità.
In alcuni territori poi sono assenti, non vi è nessun eletto o soggetto riconducibile, non c’è perché non viene fatto quel lavoro di radicamento che segue alcuni passaggi fondamentali e importantissimi.
La politica è ascolto e dialogo, è una roba seria. La politica non è parlare con un microfono durante un evento pubblico, non è sapere mettere in riga quattro tremolanti parole, è capacità di volare, seguendo però la traiettoria, e durante il volo essere capaci di aggregare. Oggi assistiamo all’imperituro ego che inizia e finisce lì dove si è consumato, non produce nulla. Meno del battito di ali di una farfalla.
C’è una classe dirigente inadeguata, che guarda passo passo a se stessa, a quale casella occupare, oggi le amministrative, domani le provinciali ( altra grande mangiatoia per chi è fuori dalla politica da anni e ora pensa di arrivare per mettere la bandiera).
Un deperimento continuo, si potrebbero definire brocchi.
Costantemente lanciati al futuro ma inconcludenti nel presente, incapaci a fare, vorrebbero vivere di rendita, quella degli altri. Un tracollo che viene spesso avallato e pure sorretto, i partiti hanno esaurito e hanno rinunciato alla loro primordiale funzione: quella di rimettere al centro una classe dirigente che sappia avere competenze e qualità, che sappia, pure con un tocco di eleganza, tenere un discorso.
Rimettere i paletti di un tempo è necessario o si continuerà con questo degrado che è figlio di una politica romana trasandata.
È cosa nota che la politica non si faccia per concorsi né per titoli, non deve essere certamente il consesso esclusivo di accademici della Crusca, ma qualcosa non funziona nella selezione della classe politica, non ci sono più i “contenitori” del processo e del progresso politico.
La maggior parte della classe dirigente in loco è sostanzialmente qualunquista, non disposta ad assumersi le proprie responsabilità ma a spostarla in capo ad altri nel caso di sonora sconfitta. Sono gli elettori che non hanno capito il progetto, sono gli altri che hanno fatto una campagna elettorale spregiudicata, sono gli altri che non hanno avuto coraggio. Non si sente uno sconfitto fare una sana ricostruzione e mea culpa da almeno dieci anni. Tutti statisti.
E in questo declino ad essersi rassegnati sono gli elettori che a quel punto, tra tanta inconcludenza, scelgono il meno peggio, scelgono il partito che almeno è al 5%, scelgono chi meglio si destreggia, perché oramai questa classe dirigente ha abituato l’elettore a non risposte e se ci sono sono vuoti a perdere. E’ perennemente tutto una grande propaganda, iniziano a parlare quasi sempre degli altri e mai di se stessi, irritante e cieca sufficienza. Del resto come diceva Giuseppe De Rita, sociologo e fondatore del Censis: “Rimangono pochissimi vecchi dinosauri e ci sono i nuovi tabacchini”.