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16/08/2023 06:00:00

 La colpa del cane

Se un cane muore in un canile non fa notizia. Se a morire sono due cani, nello stesso canile e a distanza di poche ore, comincia a diventare imbarazzante e allora se ne parla e si scopre che un altro cane è morto in un altro canile e poi qualcuno indaga e scopre che quarantaquattro cani sono morti dall'inizio dell'anno in tutti i canili italiani. A questo punto tutti sono costretti a parlarne perché un animalista volontario tira fuori la legge che impone le condizioni di vivibilità all'interno dei canili.

Ebbene sì, sto parlando d'altro, e se qualcuno si sta scandalizzando per l'analogia vuol dire che non ha mai sentito i commenti di quanti sono deprivati dal senso di umanità: gli stessi, per intenderci, che abbandonano i loro stessi cani prima di partire per le vacanze. Si riconoscono facilmente, sono generalmente quelli del sì ma... non sono razzista ma, non ho niente contro i gay ma...

Ma se non è così semplice difendere un animale innocente, figuriamoci una persona che è stata già giudicata colpevole.

La morte di un colpevole non merita la stessa indignazione che si riserva a un innocente. E se per molti questa asserzione è giusta, per altri è incompleta, manca infatti il punto di domanda alla fine. La questione non è, in questo caso, materiale da dibattito etico-filosofico, qui stiamo parlando di persone, esseri umani custoditi sotto la responsabiltà dello Stato in un luogo protetto, a prescindere dalla colpa. Giudicati dalla stessa legge che impone le regole per una giusta detenzione. Morire in carcere non è come morire in ospedale, mentre provi a curarti. Eppure a questo dovrebbe servire il periodo di reclusione, almeno questo c'è scritto nella nostra Costituzione:

… le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato...

Ma di quale senso di umanità stiamo parlando? In alcune strutture carcerarie non si può parlare né di umanità né di rieducazione. Ma non è vero che tutto il sistema non funziona, esistono realtà carcerarie che non tradiscono l'articolo della Costituzione appena citato. Realtà più piccole certo, ma non per questo meno difficili da organizzare.

Sono quarantaquattro i detenuti che si sono suicidati nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno, quarantaquattro storie pressoché sconosciute, se non ignorate, persino dalla cronaca. Ora invece conosciamo tutti Susan, una delle due detenute che hanno scelto di morire nel carcere delle Vallette di Torino, si è lasciata morire di fame senza neppure proclamare lo sciopero della fame, sono bastati diciotto giorni di digiuno totale, altro che mesi e mesi. E in quei diciotto giorni ha continuato a chiedere di voler vedere suo figlio di quattro anni. Soffriva di disagi psichici e problemi di comportamento, dicono, ma non abbastanza da meritare una segnalazione al garante dei diritti del detenuto. Doveva scontare una condanna per tratta e immigrazione clandestina, lo stesso reato di cui dovrebbero rispondere ben altri criminali intoccabili.

È difficile difendere un colpevole, pronunciarsi senza conoscere le carte è pure scorretto, ma credo fermamente nella possibilità di recupuro per alcuni detenuti, ci credo da educatore e lo confermano le statistiche. Ci credo da cittadina, e se anche fosse un caso su mille, anche solo per questo unico caso, trovo che sia giusto provarci. Aggiungo inoltre una mia suggestione, ossia che proprio quei detenuti che non sono stati capaci di sopportare le privazioni del regime carcerario potevano rientrare tra i recuperabili, perché il delinquente irredimibile sa bene come sopravvivere in carcere.

Ai legionari del sì ma voglio dire una cosa: se esiste una possibilità di recupero durante il periodo di detenzione è nell'interesse di tutti provarla, perché se non ci occupiamo noi di loro quando la legge ce lo impone, saranno poi loro a occuparsi di noi quando torneranno a delinquere.

Consigli per la lettura: Fine pena: ora di Elvio Fassone, Sellerio
Consigli per la visione: Morti in carcere, ex detenuta a Sky TG24: "In cella buio e scarafaggi"

Katia Regina