di Katia Regina
Spero che Orban non legga i giornali italiani, se dovesse imbattersi nel caso di violenze nel carcere minorile Beccaria, potrebbe persino dire che è meglio che Ilaria Salis resti in Ungheria. Ma c'è poco da fare gli spiritosi, in entrambe i casi, la sconfitta dei Diritti umani l'abbiamo in casa, all'interno di stati teoricamente democratici. Che razza di paragone è? Già sento la domanda di qualcuno che sta leggendo, in Ungheria è la norma, in Italia un fatto sporadico. Torniamo dunque al dilemma etico irrisolto: quanti detenuti si possono picchiare, abusare, violentare per poter parlare di trattamento inumano? 1, 5, 20? o forse dipende dal tipo di detenuti? I delinquenti in genere non sono attraenti, se minorenni e/o stranieri poi. Il bubbone è scoppiato, era lì da così tanto tempo che lo sapevano tutti: al Beccaria ti menano.
13 agenti penitenziari sono finiti in carcere, come hanno fatto per anni, ogni giorno, ma non per vigilare, stavolta le porte non le hanno chiuse loro, è stato un collega a chiuderle e loro sono rimasti dietro le sbarre. Sono ancora innocenti, fino a prova contraria, come molti dei ragazzi detenuti che ancora dovevano essere giudicati. Ma le accuse sono davvero pesanti: maltrattamenti aggravati, abuso di potere, tortura aggravata, lesioni aggravate, falso ideologico, tentata violenza sessuale. Le violenze psicologiche non le ho inserite, probabilmente i ragazzi neanche sanno che esiste questo tipo di violenza, un lusso che non possono permettersi perché troppo impegnati a ripararsi dalle torture fisiche.
Li portavano nella cella d'isolamento, a quanto pare, quella senza telecamere. E giù a dare sfogo alle loro frustrazioni personali e professionali, tanto lo sapevano che nessuno avrebbe denunciato, la parola di un detenuto non è attendibile, e i lividi evidenti potevano essere il risultato di un regolamento di conti tra altri detenuti.
Le indagini sono partite grazie al rumor proveniente da diverse fonti, il supporto di altre voci, oltre quella dei detenuti e dei familiari, le psicologhe, ma anche ex detenuti fino ad arrivare alla stampa. A questo punto è intervenuto il Garante e ha chiesto l'apertura di una inchiesta.
Sono 380 i detenuti minorenni all'interno dei 17 istituti penali pensati per loro, un 10% in più rispetto al 2023, i reati più frequenti sono quelli contro il patrimonio, inutile dire che le condizioni di svantaggio economiche, culturali e familiari, sono i fattori di maggiore rischio. In altre parole ragazzi che ignorano la possibilità di poter avere un'alternativa di vita diversa da quella in cui non hanno scelto di nascere. Ignorati dalle famiglie, non intercettati dalle scuole, accolti soltanto all'interno di gruppi vocati a delinquere, finiti in un carcere del genere, quando ancora si poteva sperare in un cambio di rotta, perché da minorenni ancora si può fare un buon lavoro rieducativo. E invece? Chi potrà mai convincerli ora che possono agire il cambiamento? Ciò che hanno imparato in carcere lo riporta Silvia Avallone nel suo libro: Cuore nero, una frase sconvolgente: alzare la soglia del dolore.
31 suicidi in carcere fino a oggi, 10.000 detenuti in più rispetto ai posti disponibili, l'elenco completo di tutto quello che non funziona lo trovate nel rapporto annuale di Antigone.
Le soluzioni ci sarebbero, ciò che manca è la volontà politica di mettere in calendario questa emergenza, nel frattempo sarebbe più dignitoso arrossire di vergogna e smettere di inasprire le pene, ché tanto non costa niente, metterci i soldi necessari per fare progetti rieducativi e sistemare quel 15% di buco nell'organico del personale tra poliziotti, educatori, assistenti sociali... solo quest'anno sono 4 i suicidi di agenti della polizia penitenziaria, e non può essere un caso se questa casistica è quattro volte rispetto quella della media nazionale. E anche in questo caso, quanti ne dobbiamo contare ancora prima di considerare il problema seriamente? Qual é la soglia di tolleranza oltre la quale non possiamo più considerarci un paese civile?
Consigli per la lettura: Non vi guardo perché rischio di fidarmi storie di cadute e resurrezione di Claudio Burgio
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