Di Katia Regina - C’è un luogo misterioso e sfuggente, un angolo dimenticato dell’universo dove le anime vagano senza direzione, sospese tra il qui e l’aldilà, in attesa di una risposta definitiva sul loro destino eterno. No, non stiamo parlando del limbo teologico, quello che la Chiesa ha gentilmente archiviato nel 2007 per dare un po' di pace ai bambini non battezzati. Parliamo invece di un altro limbo, altrettanto frustrante e nebuloso: quello in cui vivono i figli degli stranieri nati in Italia.
Immaginate di nascere in Italia, mangiando pizza e spaghetti, di tifare per la nazionale o allenarsi per una disciplina sportiva che porta medaglie alle olimpiadi, di parlare con l'inflessione dialettale del posto in cui sei cresciuto... eppure, il tuo passaporto dice che sei uno straniero, al limite un quasi italiano. Benvenuto nel limbo burocratico della cittadinanza italiana!
Ora, facciamo un salto indietro nella storia della teologia. Una volta, esisteva un concetto chiamato limbo, un luogo dove le anime dei bambini non battezzati se ne stavano in attesa, in una sorta di zona grigia celeste, con tutti i comfort (si spera) ma senza la visione beatifica di Dio.
Allo stesso modo, i figli degli stranieri nati in Italia vivono in un limbo tutto loro. Crescono in Italia, parlano italiano, pensano italiano, ma non possono partecipare pienamente alla festa della cittadinanza fino a quando non compiono 18 anni. È come avere un biglietto per il concerto della tua band preferita, ma scoprire che l’ingresso è consentito solo ai maggiorenni. E fino ad allora? Te ne stai fuori, a sentire la musica da lontano.
La Chiesa, in uno dei suoi rari impeti di rinnovamento, ha rivisto la questione del limbo, dichiarando che Dio, nella sua infinita misericordia, probabilmente ha trovato un modo per accogliere quei bambini non battezzati. E così, il limbo teologico è stato, per così dire, archiviato.
Lo Stato italiano, invece, sembra meno propenso a rivedere il limbo in cui tiene sospesi i figli degli stranieri. La Sinistra oggi chiede la riforma epocale che non è riuscita a fare quando era al governo, creando attriti nella coalizione di Destra che va in ordine sparso sulla questione. Non ci resta che sperare in un atto di misericordia legislativa, magari con l'intercessione di Madonna Giorgia, una rivelazione burocratica che porterà questi giovani fuori dall’ombra e li riconoscerà finalmente per ciò che sono: italiani, senza quasi.
Nel frattempo oltre 800 mila figli di immigrati nati in Italia vengono deprivati dei diritti civili completi, niente possibilità di partecipare alla vita politica fino al completamento della pratica che concede la cittadinanza e nemmeno un passaporto che ti permetta di viaggiare senza mille complicazioni. Una dissonanza che può generare sentimenti di esclusione e frustrazione, alimentando un senso di non appartenenza.
Che tristezza sentire le dichiarazioni di quanti partecipano al dibattito politico sullo ius scholae ponendo motivazioni che non mettono mai al primo posto il fatto che stiamo parlando di bambini e adolescenti, ragazzi che la notte sognano in italiano, nonostante il torto che subiscono da questo Paese.
Consigli per la lettura: un articolo che fa chiarezza, scritto da chi si occupa dei bambini con serietà, su Save the children;
Un video, qui sotto, per sentire anche le loro voci: