I dissalatori bastano a risolvere la crisi idrica siciliana? E’ la domanda che si fanno tutti dopo il via libera di Roma alla riattivazione dei dissalatori dismessi in Sicilia. Un’operazione da 100 milioni di euro, che riguarda anche il dissalatore di Trapani, un impianto fermo da oltre 10 anni e in stato di abbandono.
Nei giorni scorsi, infatti, la Cabina di regia per la crisi idrica presieduta dal vicepremier e ministro Matteo Salvini, ha deciso di «affidare pieni poteri al commissario straordinario nazionale per interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica, Nicola Dell’Acqua, per procedere all’acquisizione e all’installazione di Dissalatori e attuare le misure necessarie per fronteggiare l’emergenza», si legge nella nota. «Questo consentirà di dimezzare i tempi della procedura. Spesa prevista circa 100 milioni di euro finanziati con Fsc regionali, previo accordo Stato/Regioni». Alla riunione hanno partecipato, tra gli altri, il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare Nello Musumeci, il presidente della Regione siciliana Renato Schifani, la viceministra all’Ambiente Vannia Gava, il sottosegretario all’Agricoltura Luigi D’Eramo e il sottosegretario di Stato al Dipe Alessandro Morelli.
«Noi collaboreremo e vigileremo affinché i tempi vengano rispettati. Il nostro obiettivo è realizzarli entro l’estate dell’anno prossimo – ha commentato Schifani – non intendo perdere questa scommessa. Mi auguro che la struttura del commissario sia efficiente. Noi ce la stiamo mettendo tutta»
“Sono contento - continua soddisfatto il presidente Schifani - che sia stata accolta la mia proposta, grazie alla quale avverrà il dimezzamento dei tempi di costruzione. Pur avendo già reperito le risorse finanziarie necessarie, 90 milioni nell’Accordo di coesione e 10 di fondi regionali con i quali faremo anche un dissalatore temporaneo a Porto Empedocle - continua - c’era il rischio, infatti, di non potere realizzare gli impianti entro la prossima stagione a causa dei lunghi tempi richiesti dalle procedure ordinarie”
Schifani è sicuro che i dissalatori di Gela, Porto Empedocle e Trapani saranno pronti entro la prossima estate.
Ma bastano a risolvere la crisi? No. Anzi, il dissalatore, in sè, aiuta, ma non è determinante per l’approvvigionamento idrico di un territorio.
A dire che i dissalatori non sono sufficienti è Nello Musumeci, Ministro della Protezione civile, ed ex presidente dell Regione Siciliana. “I dissalatori non bastano. Occorre programmare l’eliminazione della sabbia che si è accumulata sui fondali delle dighe. E’ un processo lungo. Le dighe non sono mai state collaudate. non ci illudiamo che tutto questo si risolva in poco tempo, servono anni”, ha detto a Repubblica l’ex governatore. Musumeci ha accusato anche il suo successore Schifani di non aver portato avanti i collaudi delle dighe e gli interventi strutturali. Senza quelli dissalare l’acqua del mare non basta. Il caso emblematico, ad esempio, è la diga Trinità, a Castelvetrano. Mai collaudata, viene costantemente svuotata non appena raggiunge un certo livello di acqua. Ora rischia di essere dismessa.
I dissalatori possono soltanto tamponare l’emergenza pescando l’acqua dal mare. Ma una una volta immessa nelle condutture quasi la metà di acqua si disperde. Secondo l’Istat il 51% dell’acqua immessa nelle reti idriche siciliane va persa. L’isola è tra le regioni con le perdite totali più alte, preceduta comunque da Basilicata, Molise, Abruzzo e Sardegna. Nel 2023 quasi il 30 per cento delle famiglie si è lamentato di problemi nelle forniture di acqua, mentre quasi il 60 per cento delle persone non si fida a bere l’acqua del rubinetto.
Hanno senso i dissalatori in territori circoscritti, come le isole. Funzionano bene, ad esempio, a Pantelleria, Lampedusa e Linosa. Tre isole che dal 2015 hanno gli impianti più moderni realizzati fino a questo momento e che permettono di non soffrire l’emergenza siccità.
Rimettere in piedi un dissalatore abbandonato, poi, ha costi enormi. Pensiamo quello di Trapani, fermo da oltre dieci anni. Oltre a furti e atti di vandalismo la struttura in uno stato di abbandono che per ripristinarla ci vorranno molti soldi. A questo si aggiunge il fatto che il dissalatore di Trapani utilizzerebbe una tecnologia ormai obsoleta, e che avrebbe costi di gestione, come quelli energetici, enormi. Su chi ricadono questi costi? Ovviamente sui cittadini.
«È surreale che il presidente della Regione dichiari che la riattivazione dei dissalatori in Sicilia, tramite dimezzamento delle procedure, avverrà in tempi compatibili con gestione dell’emergenza idrica. Schifani forse non si è accorto dell’incredibile ritardo della sua azione, che ha reso l’estate appena trascorsa una vera e propria tragedia per i siciliani. L’immagine simbolo dell’isola nell’estate 2024 resterà quella delle autobotti in giro per l’isola per approvvigionare le case rimaste a secco e delle dighe che sversano a mare, impedendo la campagna irrigua degli agricoltori».
Lo afferma la deputata trapanese del M5S, Cristina Ciminnisi, componente della commissione Ambiente e vicepresidente della commissione Ue all’ARS.
«Se la soluzione – continua la deputata – fosse stata semplicemente quella di chiedere a Roma di gestire le procedure per i dissalatori di Gela, Trapani e Porto Empedocle, perché Schifani non lo ha fatto sin dall’inizio la scorsa primavera, quando si è iniziato a parlare della loro riattivazione?».
Per Cristina Ciminnisi ci sono parecchi aspetti da chiarire sulla gestione commissariale romana della riattivazione dei tre dissalatori siciliani
«Stiamo parlando – dice la deputata trapanese – di 100 milioni di euro di fondi di sviluppo e coesione 2021 2027 e, a fronte di un investimento così cospicuo, ci aspettiamo che il Presidente venga a chiarire in Commissione UE qual è il progetto che sarà oggetto dello snellimento delle procedure e, soprattutto, quale sarà la reale portata di risorse idriche aggiuntive prodotta dai tre dissalatori, quali saranno i costi di gestione, e quanto, la riattivazione di questi impianti, potrà realmente contribuire a soddisfare il fabbisogno idrico regionale. Altrimenti il rischio è che la montagna partorisca un topolino».