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25/11/2024 14:00:00

"Il lettore che non vota: astensionismo d'opinione?"

Pochi giorni fa nelle regioni Emilia Romagna e Umbria si sono avute le elezioni amministrative e, a prescindere dall’esito politico, ne è risultata un’affluenza alle urne che di poco supera il 50% degli aventi diritto. Il dato, purtroppo, non fa notizia, poiché è coerente con un trend la cui origine non è recente. Da circa quarantacinque anni gli italiani vanno sempre meno alle urne. Un astensionismo che, dai più, viene descritto come effetto diretto di una crescente perdita di interesse nei riguardi della politica, la cui classe dirigente proprio non riesce a non risultare autoreferenziale, incompetente e, ciò che più irrita, troppo spesso non coerente con i propositi che, in fase pre-elettorale, sono sapientemente esposti in vetrina per magnetizzare il consenso.

Alle ultime elezioni politiche del 25 settembre 2022 ha votato il 64 per cento degli elettori per rinnovare i membri del Parlamento. E’ un record. La percentuale più bassa registrata dal referendum del 1946 che decretò la fine della monarchia e la nascita della Repubblica, e anche la più bassa di sempre alle elezioni politiche dei quattro grandi Paesi dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia e Spagna). Infatti non stiamo parlando di un fenomeno tutto italiano, ma sarebbe tutto italiano il gradino più alto del podio, in un ipotetico grottesco “torneo di astensionismo”.

Il gran premio che mostriamo alla folla di fotografi, cronisti e tifosi inconsapevoli, non può che consistere nel fatto che da due anni, capitano della squadra "vincente" friends dichiarano che stanno realizzando quello che gli italiani hanno chiesto loro. E vai con la doccia di champagne! Non condivido, ma tecnicamente devo ammettere
che “ce la siamo cercata”. Non mi sembra che “riverenza nei riguardi di banche e guru del management” sia mai stata la stella polare degli italiani, così come non lo sono una sanità che cade a pezzi, avvelenata da un disfunzionale rapporto tra pubblico e privato convenzionato, e una politica delle infrastrutture tutta paranoicamente concentrata sulla realizzazione di un ponte sullo stretto di Messina utile quanto lo sarebbe un ponte sullo stretto di Bering.

Ma ce la siamo cercata perché abbiamo dato per scontato che astenendoci non avremmo influenzato l’esito ( e già questo non corrisponde a verità), e soprattutto che la partecipazione alla vita politica della Repubblica non ci interessa più di tanto. Il che la dice lunga sulla salute della nostra democrazia. Chi sceglie di non esercitare il suo diritto al voto, non è semplicemente un “osservatore disinteressato di un qualcosa che non gli interessa più di tanto”. Non è come essere al Louvre dinanzi a una moltitudine di persone che attendono, in fila per due, di poter ammirare la Gioconda di Leonardo, e scegliere di non mettersi in coda perché, tutto sommato, non ne vale la pena.

Chi la pensa così è in errore. La democrazia è quel dipinto che tutti i cittadini contribuiscono a realizzare, ognuno esercitando i propri diritti e assolvendo i propri doveri, ognuno partecipando alla vita di quel laboratorio che è lo Stato, ognuno la sua coscienziosa “pennellata” affinché l’opera rispecchi gli interessi della maggioranza nel rispetto di tutti. Insomma, il giorno delle elezioni non sei lì ad ammirare il dipinto, ma ne sei parte integrante, e ogni voto non espresso è una parte di tela rimasta bianca. Di fatto chi sceglie di astenersi, lo farà pure per dimostrare un dissenso, ma tecnicamente non fa altro che rinunciare ad esprimere il suo orientamento, delegando chi invece quel diritto lo eserciterà. Una delega in bianco, come firmare un assegno e lasciarlo sul tavolo di un bar.

L’astensionismo d’opinione, quello derivante dalla frustrazione di chi “non ci crede più”, non vale come uno sciopero o una raccolta firme, questo deve essere chiaro. Piuttosto è l’arrendersi del cittadino davanti all’evaporazione della componente etica della politica che perciò assume sempre più la forma della fiera di quartiere. E identificando nella figura del politico nient’altro che uno scaltro mercante in fiera, ne prende le distanze. Ma tutto ciò è frutto di un equivoco: un paese di sessanta milioni di abitanti, se è una repubblica democratica, conta sessanta milioni di politici. A condizione che ognuno dei sessanta milioni ne sia consapevole.

Massimo Cardona