Una latitanza che finisce nei pressi di una struttura sanitaria. Così è stato per Matteo Messina Denaro, così è stato nei giorni scorsi per il cugino Paolo Aurelio Errante Parrino. L'analogia è solo nella modalità e nel luogo dove è avvenuto l'arresto. La cattura di Paolo Aurelio Errante Parrino, 78 anni, considerato un esponente di spicco della mafia trapanese in Lombardia, ha fatto discutere non solo per la brevità della sua latitanza, durata appena tre giorni, ma anche per le modalità che hanno ricordato l’arresto del cugino acquisito, Matteo Messina Denaro. Entrambi i mafiosi sono stati bloccati dai carabinieri mentre si recavano in ospedale, in cerca di cure per i loro problemi di salute. Ma le similitudini, come dicevamo finiscono qui: se Messina Denaro ha trascorso 30 anni da primula rossa, Errante Parrino è stato rintracciato nel giro di pochi giorni, tre, grazie a un'efficace operazione delle forze dell’ordine.
L’arresto di Errante Parrino: una fuga di tre giorni
Paolo Aurelio Errante Parrino è stato arrestato all’ingresso dell’ospedale Fornaroli di Magenta, in provincia di Milano, dove si era recato accompagnato dalla moglie per ottenere un certificato medico che, nella sua strategia, avrebbe potuto evitargli il carcere. Bloccato dai carabinieri del Nucleo investigativo, guidati dai colonnelli Antonio Coppola e Fabio Rufino, il boss è stato piantonato presso il reparto di Cardiologia dell’ospedale. L’operazione, pur priva della spettacolarità che caratterizzò l’arresto di Messina Denaro nel 2023, è stata condotta con rapidità ed efficienza, dimostrando la stretta sorveglianza attorno al latitante.
La fuga di Parrino è iniziata appena tre giorni prima, quando, il 25 gennaio, la Corte di Cassazione ha rigettato il suo ricorso contro l’arresto disposto dal Tribunale del Riesame di Milano nell’ambito dell’operazione “Hydra”. Insieme alla moglie, Antonina Bosco, Parrino ha lasciato la sua abitazione di Abbiategrasso, facendo perdere le sue tracce. I familiari avevano cercato di sviare le indagini, raccontando che la coppia era uscita per fare la spesa e non era più tornata. Nonostante alcune voci suggerissero una possibile fuga all’estero, i carabinieri hanno intuito che il boss fosse rimasto nell’unico territorio che sentiva familiare e protettivo, ossia la Lombardia.
La "carriera" Paolo Aurelio Errante Parrino
Originario di Castelvetrano, lo stesso paese di Matteo Messina Denaro, Errante Parrino si era trasferito ad Abbiategrasso negli anni ’90. Qui ha costruito una rete di contatti e attività che lo hanno reso una figura chiave per i clan trapanesi operanti al Nord. Secondo le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia, il 78enne rappresentava un punto di riferimento della mafia di Trapani in Lombardia. Con la moglie, aveva gestito a lungo il bar “Las Vegas” di via Legnano, poi chiuso per interdittiva antimafia, e una ditta di arredamenti che, secondo gli investigatori, era messa a disposizione delle cosche per risolvere controversie criminali.
I giudici del Riesame avevano definito Parrino un sodale di fiducia per i clan, sottolineando come il suo carisma criminale fosse noto e temuto dalla cittadinanza. Il boss, secondo le indagini, non solo agevolava gli affari dei clan mafiosi, ma li coordinava, risolvendo dispute e assicurando che una parte dei proventi criminali confluivano nelle casse della mafia. Era descritto come una pedina fondamentale nell’inchiesta “Hydra”, che aveva svelato un’alleanza tra Cosa Nostra, ’Ndrangheta e Camorra per il controllo di attività illecite in Lombardia.
Le accuse e il contesto familiare
Le radici mafiose di Errante Parrino affondano nel suo legame di parentela con i Messina Denaro. La moglie Antonina Bosco è cugina di Gaspare Como, marito di Bice Messina Denaro, sorella del celebre boss Matteo. Questa connessione diretta con la famiglia del super latitante, secondo i magistrati, aveva reso Parrino una figura di raccordo tra la mafia trapanese e quella lombarda. Il suo passato, inoltre, è segnato da una condanna per associazione mafiosa nel 1997, quando fu coinvolto in un giro di narcotraffico che passava dall’aeroporto di Linate.
Nonostante queste accuse, Parrino ha sempre negato ogni legame con la mafia. Celebre rimane una sua dichiarazione, rilasciata durante un’intervista televisiva, in cui alla domanda sul significato della parola “mafia” aveva risposto sarcasticamente: “Che cos’è? Una cosa che si mangia?”. Questo atteggiamento di sfida e negazione è stato smentito dai risultati delle indagini, che lo hanno indicato come uno degli uomini di vertice della mafia trapanese al Nord, capace di gestire gli interessi dei clan con autorità e competenza.
I retroscena dell’operazione
L’arresto di Errante Parrino arriva in un contesto di crescente pressione investigativa sulle cosche trapanesi. L’inchiesta “Hydra” aveva già messo in luce il ruolo di Parrino come punto di contatto tra le principali organizzazioni mafiose del Paese. Tuttavia, inizialmente, il gip Tommaso Perna aveva respinto molte delle richieste cautelari avanzate dal pm Alessandra Cerreti, coordinatrice delle indagini. Fu solo grazie al ricorso della Dda che il Tribunale del Riesame ribaltò questa decisione, riconoscendo il pericolo di fuga del boss.
I magistrati avevano previsto che il contesto familiare e territoriale che aveva protetto per anni Matteo Messina Denaro avrebbe potuto garantire una latitanza simile a Parrino. Tuttavia, il rapido intervento dei carabinieri ha sventato questo scenario. L’arresto, avvenuto in tempi brevi, è il risultato di una stretta sorveglianza e di un lavoro d’intelligence che ha portato le forze dell’ordine a individuare il latitante proprio mentre cercava di sfruttare un’ultima risorsa: l’ospedale come rifugio.
L’ombra della mafia a Nord
La cattura di Errante Parrino rappresenta un ulteriore colpo alla mafia trapanese e al suo tentativo di radicarsi in Lombardia. Il boss, nonostante la sua età avanzata e i problemi di salute, continuava a essere un punto di riferimento per la criminalità organizzata, mantenendo saldi i legami con i clan storici della Sicilia. Il suo arresto conferma l’importanza delle indagini coordinate tra diverse procure e il ruolo cruciale delle intercettazioni e delle attività investigative sul territorio. L’operazione si inserisce in un panorama più ampio, in cui lo Stato continua a mostrare fermezza nella lotta contro le mafie. Le congratulazioni espresse da politici e figure istituzionali, come Andrea Delmastro e Manlio Messina, testimoniano il valore simbolico di queste azioni. Tuttavia, rimangono interrogativi sull’effettiva capacità delle istituzioni locali di resistere alle infiltrazioni mafiose, come dimostra il caso del sindaco di Abbiategrasso, Cesare Nai, accusato di rapporti ambigui con Parrino.