Oggi al vertice del partito c'è una oligarchia che pensa a perpetuare se stessa. Si chiedono atti di fedeltà , e io la penso come Montanelli: la fedeltà è una virtù dei cani.
Non ho l'ansia di chi deve farsi rieleggere o di chi deve vivere di politica. E questa, probabilmente, è la mia colpa più grave, non avendo una concezione così volgarmente utilitaristica dell'impegno politico. La politica è una missione; non può trasformarsi in un obiettivo.
La progressiva incomunicabilità con il segretario regionale, esercitatosi nell'arte dell'equilibrista piuttosto che prendere decisioni (salvo quelle di censurare chi non la pensa come lui) mi porta dunque a questo epilogo, che non è certamente un affronto al capogruppo all'Ars, di cui anzi riconosco lealtà e senso delle istituzioni.
In questi due anni ho solo fatto richiami alle regole e al galateo politico. Mi hanno risposto deferendomi ai probiviri e minacciando di espellermi, tragicomici interpreti, quali sono (più o meno consapevolmente) di una cultura censoria riscontrata, in passato, in altri partiti e in altre latitudini. Ma questo, si sa, comporta la conoscenza della Storia, almeno quella dei democristiani tra cui si è cresciuti»