Il 2011 è iniziato male, molto male. La strage di 21 cristiani copti ad Alessandria d’Egitto aggrava la tensione internazionale e conferma ancora una volta che il Medio oriente costituisce un’area di eccezionale instabilità geopolitica. Lo sapevamo, come sappiamo bene che la comunità internazionale – dall’Onu all’Unione europea, dalla Lega araba alla Casa Bianca di Barack Obama – sembra guardare impotente alle cicliche tensioni che investono questo o quel paese dell’arco che dalla Turchia scende sino allo Yemen, passando per Libano, Israele, Giordania, Iraq, Arabia Saudita per arrivare sino all’Egitto.
La strage di cristiani appartenenti a un’antica chiesa qual è quella copta ha una eccezionale valenza simbolica: quella copta, infatti, non è una presenza artificiale o "moderna" legata alla colonizzazione occidentale dell’Ottocento o all’azione evangelistica di gruppi al seguito delle truppe occidentali impegnate, ad esempio, in Iraq. I copti sono antichi quanto l’Egitto: il loro stesso nome sarebbe derivato dal termine greco "aiguptos", egiziano appunto. Quanto alla chiesa copta ha le sue origini già nel I secolo, quando sorse in seguito alla predicazione dell’evangelista Marco che ebbe come suo centro proprio la città di Alessandria. Si tratta inoltre di una presenza tutt’altro che trascurabile dal momento che conta alcuni milioni di membri: poco più di tre, l’8% della popolazione, secondo le minimalistiche stime del governo egiziano; tra sei e gli otto, secondo quelle più realistiche di alcune fonti indipendenti.
Questa particolare comunità, insomma, costituisce il cuore della presenza cristiana nel mondo arabo quella che può vantare radicamento, consistenza e autorevolezza: era copto, ad esempio, Boutros Ghali, primo ministro egiziano tra il 1908 e il 1910; ed appartiene alla stessa comunità cristiana il suo omonimo già capo delle Nazioni Unite tra il 1992 e il 1996.
Un attentato contro questa comunità ha quindi un significato politico molto preciso, teso a negare ogni legittimità a qualsiasi presenza cristiana nel mondo arabo. In questo quadro irrealistico quanto violento, i "qaedisti" che hanno rivendicato l’attentato pretenderebbero un Egitto e un Medio oriente di soli musulmani, un nuovo califfato fondamentalista e anticristiano che mai i "veri" califfi ortodossi, omayyadi, abassidi, mamelucchi o ottomani hanno inteso o hanno potuto costruire. Al contrario, nella storia del califfato e delle guerre di religione che pure lo contraddistinsero, la protezione dei "dhimmi" ebrei e cristiani era un dovere islamico iscritto nel Corano e fondato sul riconoscimento giuridico di queste comunità: «In verità coloro che credono, siano essi Giudei, Cristiani o Sabei, tutti coloro che credono in Dio nell'Ultimo Giorno e compiono il bene riceveranno il compenso presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti» (Sura 2, vv. 62). Sappiamo bene come nella storia dei travagliati rapporti tra le "genti del libro" queste rassicuranti affermazioni abbiano avuto interpretazioni di segno opposto ed abbiano prodotto innumerevoli violenze. Considerazioni analoghe, però, dovremmo fare anche per la Bibbia.
Resta il fatto che molti sistemi politici arabi – si pensi alla Giordania e ovviamente all’ Egitto – hanno assunto la presenza ed il ruolo attivo dei cristiani al loro interno a conferma del loro carattere "laico" e democratico. Non ci nascondiamo l’ambiguità di certi riconoscimenti che hanno più la forma della tolleranza che quella del pluralismo, e tuttavia la presenza di minoranze cristiane all’interno di società massicciamente islamiche costituisce un tratto originale e qualificante della storia del Medio oriente, talora ragione di vanto del pluralismo religioso nelle terre dell’islam e di accreditamento nei confronti delle democrazie occidentali. La storia, la letteratura e la cultura di queste terre raccontano delle tensioni tra cristiani e musulmani, ma anche della convivenza porta a porta e quindi della familiarità tra due tradizioni confessionali.
Ed allora, come si spiega la feroce violenza dell’ultimo attentato e di quelli che lo hanno preceduto negli ultimi anni? Siamo davvero di fronte ad un nuovo ciclo di quello "scontro di civiltà" tante volte preconizzato ma mai realmente verificato, se non altro perché la maggioranza del mondo islamico non lo ha mai fatto proprio? E’ proprio finito il tempo del "dialogo" tra cristiani e musulmani di buona volontà perché ciascuno corre ad arruolarsi nel proprio esercito?
Domande legittime ma proprio per queste bisognose di risposte rigorose e liberate dalle strumentalizzazioni degli schieramenti politici o confessionali. I copti egiziani sono probabilmente vittime sacrificali di un disegno molto ampio che non ha come fine ultimo la semplice "de cristianizzazione" del Medio oriente. Così come l’obiettivo "di sponda" dell’attentato dell’11 settembre del 2001 era l’abbattimento del regime saudita e una ridefinizione dell’area geopolitica dell’islam, così l’attentato contro i copti intende destabilizzare il regime egiziano che della tutela dei cristiani si è fatto garante di fronte all’opinione pubblica mondiale. Gli attacchi ormai sistematici contro i cristiani sono quindi l’innesco che, nella strategia qaedista, deve provocare il crollo dei regimi "moderati" o comunque alleati dell’Occidente. Ieri l’Arabia Saudita, oggi l’Egitto, domani la Giordania.
Uno scenario sinistro e inquietante che ai milioni di musulmani nel mondo suggerisce una sola scelta politicamente e spiritualmente responsabile: stringersi intorno ai loro fratelli cristiani per costruire, insieme a loro, un Medio oriente più libero e più democratico.
Paolo Naso - dal sito "www.chiesavaldese.org" - 3 gennaio 2011