A maggior ragione il Purgatorio ha funzionato in versione catechistica come escatologia della mediazione possibile tra peccato e salvezza finale, una scialuppa di salvataggio cui aggrapparsi anche da vivi per non naufragare nell´abisso irrevocabile, per quanti errori si siano fatti. Indubbiamente il Concilio di Trento, nel 1547, volendo arrivare a una definizione dogmatica del Purgatorio per opporsi a Lutero, preferì fulminare l´anatema su chi negava che il pentimento in vita potesse bastare a cancellare ogni debito di "pena temporale" da scontare nella vita futura "prima che gli siano aperte le porte del Regno dei Cieli". In questa declinazione identitaria, il Purgatorio non poteva che prestarsi, in mano a un clero padronale, anche ad usi che ne facevano piuttosto una macchina infernale di ricatti spirituali, oltre che degli abusi del sistema tariffario delle Indulgenze. Tuttavia la pratica pastorale ne recupera in genere la dottrina in termini di misericordia, precisamente come spazio penitenziale dell´ultima chance nell´aldilà per risparmiare ai peccatori l´immediata e inappellabile condanna del Giudizio finale alle fiamme eterne. Chiunque in questa versione potrebbe candidarsi a sperare nel successo di una domanda di grazia. A nessuno va negata la possibilità di sperare di essere almeno rimandati a ottobre.
Questa volta Ratzinger non osa mandare in discarica anche il Purgatorio. Lo riformula, lo smaterializza. Pochi quanto lui sono in grado di percepire la delicatezza di questa operazione, specialmente se investe alcune delle categorie fondamentali dell´escatologia cristiana, anche se controverse come il Purgatorio, negato da hussiti, albigesi e valdesi nel Medioevo, poi dal protestantesimo. Il rischio possibile sarebbe di rendere fragili, sotto gli aut aut dell´integralismo escatologico, quelle fonti ultime delle speranze storiche cui si sono abbeverate le ricerche di redenzione in ogni tempo di credenti e meno credenti. Senza contare l´indebolimento possibile del senso della comunione tra i vivi e i defunti, con i primi stretti ai secondi da una solidarietà così intima da poterli aiutare "con preghiere e suffragi" a scontare la pena residua, come sosteneva il Concilio di Firenze nel 1444.
«La religiosità deve rigenerarsi e trovare così nuove forme espressive e di comprensione» ha ammesso papa Ratzinger nel recente libro-intervista. La domanda è se rappresentazioni tradizionali, «formule grandi e vere e che tuttavia non trovano posto nella nostra forma mentis», potranno venire riconcepite e introiettate dal complesso corpo cattolico. Per dare il via a questa operazione il papa si serve di un Trattato di Caterina da Genova, una mistica del Quattrocento. Egli avalla la transizione da una visione spaziale, penale e materiale del fuoco purgatoriale al "fuoco interiore" della visione immateriale raggiunta dalla santa. Il valore di questo intervento sta nel tentativo di trasferire dopo oltre cinque secoli il risultato teologico di una delle grandi ma minoritarie esperienze mistiche della storia in un approccio universale del popolo dei cristiani. Con ricadute possibili anche sul dialogo con i seguaci di Lutero.
Giancarlo Zizola
in “la Repubblica” del 13 gennaio 2011