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28/03/2011 14:30:17

Scrivono in tanti, sulla chiusura dell'aeroporto di Trapani, la guerra in Libia, la precarietà della nostra economia

Hanno paura di noi, e vogliono farci chiudere l’aeroporto. Ryanair non tornerà più perché a nessuno di lor signori interessa davvero la crescita della provincia di Trapani. Siamo “asineddri” e ci resteremo!!!
Alfredo
Direttore,
è una vergogna che ci levano l’aeroporto. Fanno tutti schifo, la maggioranza e l’opposizione (???). Ma come si permettono? Io ho un piccolo bed and breakfast… tutto annullato!!!! Propongo lo sciopero delle tasse…. E ora ci portano pure gli immigrati qui da Lampedusa.
Bastaaaaaa

Anna


Gentili corrispondenti,
Quasi tre settimane fa fa una serie di scosse di terremoto e di tsnuami di proporzioni mai viste hanno messo in ginocchio uno dei Paesi più ricchi del mondo, il Giappone .
Tante cose ci ricorderemo, di questo cataclisma. L’abbiamo vissuto in tempo reale, con gli elicotteri in volo a riprendere le onde, e le persone, composte, a difendersi come meglio potevano. Prevale però su tutti quel senso di grande precarietà che hanno la vita e gli uomini di fronte alle cose della natura.
La bella opinione pubblica emotiva e poco raziocinante ha concentrato nei giorni a venire tutto un dibattito lungo lungo sull’energia nucleare e il rischio delle centrali atomiche. Non è un dibattito che mi appassiona. Perché – anche in questo caso – non penso che il problema sia se dire si o no al nucleare, ma sui modi di fare le centrali nucleari. Ci sono molti modi sbagliati per fare una cosa, e pochi per farla buona.
Nel frattempo, sono passati sotto silenzio due dati che poco interessano, e che invece secondo me sono rilevanti, rilevantissimi. Primo: il vero pericolo per l’umanità sono non le centrali nucleare, ma le testate nucleari, cioè le bombe che Paesi piccoli e grandi custodiscono nel loro arsenale e che rappresentano da un momento all’altro la ghigliottina con il quale l’uomo si decapiterà.
Secondo: un terremoto simile in Italia avrebbe comportato centinaia di migliaia di vittime. Tra le  città più a rischio in Italia (e al mondo) c'è Catania, dove, purtroppo, nessuno dedica tanta attenzione al pericolo. Non ci sono esercitazioni, non ci sono piani di evacuazione, non c’è un edilizia antisimica degna di questo nome (solo il 5% degli edifici potrebbe resistere ad un terremoto). Come nel resto della Sicilia, purtroppo.
E’ che la precarietà ci piace, ci piace da morire (nel vero senso della parola, a volte). Ed è la cosa che più affascina coloro che visitano la Sicilia, questo nostro modo barocco di intendere la vita, e di compiacerci di non poter far nulla per vivere più sicuri.
Le nostre esistenze sono dunque precarie. Un po’ perché non sai mai da dove spunta madre natura, un po’ perché facciamo di tutto per non creare anche un minimo di sicurezza.
Le cose spiacevoli sono sempre in agguato. Come un terremoto. O come la guerra in Libia.
Le opererazioni militari in Libia (che non si parli di guerra, mio Dio, se no ci rimangono male: parliamo allora di operazioni “diversamente belliche…”) hanno costretto a svegliare dal coma vigile la base aeronautica di Birgi, e come conseguenza hanno portato alla chiusura dell’aeroporto “Vincenzo Florio” di Trapani. Tutto fermo: Ryanair, le signorine che pesano i bagagli, il bar……
Per la nostra economia pare che si tratti di un terremoto. Secondo il Presidente della Provincia Turano i danni ammontano a “un milione di euro al giorno” .
Pare che a breve l’aeroporto possa riaprire, almeno parzialmente. Ma di fatto questo terremoto ci ha messo di fronte ancora una volta alla nostra precarietà, facendo emergere tutte le contraddizioni della nostra economia, un modello di sviluppo che non è solido, vulnerabile com’è ad ogni tipo di evento.
Ci sono state belle processioni, al capezzale di Birgi. Ci sono andati tutti i politici che fino alla settimana scorsa hanno criticato il Presidente dell’Airgest, Salvatore Ombra, perché secondo loro (scienziati) non lavora bene. Ci sono andati tutti i Sindaci che su questa struttura non hanno mai investito un euro. Ci sono andatti tutti gli imprenditori che non sono mai riusciti a fare sistema. C’è andato persino il Sindaco di Marsala, Renzo Carini, che da tre anni non riesce a piazzare un bus all’aeroporto per collegare Marsala, e che ha promesso di attivare i suoi “canali romani” per la riapertura dello scalo, facendo trasalire tutti dall’imbarazzo…
L’aeroporto di Birgi, nella sua tumultuosa, disordinata crescita ha rappresentato lo specchio di tornasole della nostra economia.
Abbiamo costruito un aeroporto civile dentro un aeroporto militare, facendo finta di niente.
Abbiamo fatto le petizioni e i gruppi su Facebook per non chiudere la base di Birgi e ora chiediamo che spostino gli aerei altrove…
Non è tutto un po’ schizofrenico?
Tutti coloro che piangono perché “l’economia turistica della nostra zona è stata messa in ginocchio” dovrebbero riflettere su alcuni dati. Quanti posti di lavoro dà l’Aviazione militare nel nostro territorio? Siamo sicuri che la nostra economia non sia ancora un po’ più bellica che turistica? Alla base militare di Birgi lavorano 1250 persone. La Nato ha prenotato per un mese circa 300 posti letto solo a Marsala. Non credo che tutti  gli albergatori possano lamentarsi…
Quando facciamo le nostre litanie sulla fine del mondo che ci cade addosso, le messe dobbiamo imparare a cantarle tutte. La chiusura dell’aeroporto è una sciagura, ma era prevedibile. Oggi è la guerra, domani è un capriccio di Ryanair…. E’ tutto il sistema economico della nostra provincia ad essere precario, e non si intravedono indirizzi o strategie politiche per consolidarlo.
Protestiamo, dunque. Ed è giusto. Ridateci il nostro aeroporto, i nostri turisti per caso, anche se il nostro inglese è sdrucciolo, anche se ci piace fare i furbetti con gli stranieri.
Ma cominciamo anche a capire dove vogliamo andare. Non nel senso dell’aeroporto. Nel senso dei destini. Cosa ne facciamo di questa provincia così morbosamente legata ad uno sviluppo precario?

Grazie dell'attenzione, e continuate a seguirci,

Giacomo Di Girolamo