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10/04/2011 07:37:09

Gesù, figlio dell'uomo

Nessuna illusione, insomma: nessuna promessa di salvezza a buon mercato, di felicità che, come ricorda Guccini, talvolta ci viene presentata come «l’anagramma di facilità, cambiando un’unica lettera». Gesù, al contrario, mette subito in chiaro che così non è: il suo annuncio è senza alcun dubbio lieto, per chi lo accoglie e lo vive camminando al suo fianco.   

Ma ciò non significa affatto che si tratti di un cammino alieno da difficoltà e fallimenti, da contraddizioni e ripensamenti: poiché, per l’appunto, si tratta di un cammino pienamente umano. Gesù condivide appieno questa umanità, con la sua innegabile bellezza ma, anche, con quell’inquietudine alla quale non può, anche lui come noi -in quanto donne, in quanto uomini-, sottrarsi. Ecco perché una fede che non contempli l’irrequietezza e non intenda fare i conti con la provvisorietà che ci determina, non è che vana consolazione, pia illusione, maldestro tentativo di raggiro. Chi vive fino in fondo la fede come servizio all’evangelo e agli ultimi quali suoi destinatari, deve sapere sin dall’inizio che non troverà altro rifugio, lungo il cammino, se non Dio: riparo sommamente insicuro, àncora di una certezza intima e segreta che però, nella vita, espone spesso allo sbaraglio. Bene lo sapevano i profeti, che sperimentarono quest’amara verità nella scarsa accoglienza che il loro annuncio, ogni volta, riceveva; bene lo sapeva Gesù, che non volle e non vuole in alcun modo una sequela inconsapevole; bene dovremmo saperlo noi, che sino ad oggi assistiamo quotidianamente al disprezzo ed alla violenza di cui sono vittime le donne e gli uomini a cui l’evangelo, come messaggio di liberazione, è rivolto. Noi sappiamo, difatti, che Gesù ha detto il vero: ogni figliol d’uomo è esposto all’instabilità della condizione umana. Ma ogni discepolo, ogni discepola, è chiamato ad avere, al riguardo, una serena consapevolezza: quella prospettata da Gesù nel nostro passo di oggi è una via che non ci mette in alcun modo al riparo dalla sofferenza, ma che, perlomeno, non ci conduce all’inganno su noi stessi e sulla vita. Nella fragilità del nostro essere umani, Gesù ci accompagna e ci insegna che in questa condizione soltanto è possibile sperimentare la fede come l’amore e, più ancora, forse, la fede come amore. Perché l’amore è, come noi, sospeso e, come noi, fatto di slanci e di timori, di fedeltà e di tradimenti. E così la fede. Perché tanto l’una, quanto l’altro, tanto l’amore, quanto la fede, nascono in noi e con noi e crescono in rapporto alla capacità che maturiamo, nel corso della vita, di riconoscere la nostra piena umanità. Gesù la conobbe, in noi come in sé, e provò a scandagliarla e a fare in modo che la fede fosse un modo per comprenderla ed assumerla, senza temerla, senza nasconderla a noi stessi, senza rifuggirla. Gesù ci mette di fronte a ciò che siamo, insegnandoci, verso ciò che siamo, l’amore. Non sappiamo come reagì lo scriba alle parole di Gesù: il testo prosegue e non ce lo dice. Forse anche lui, come il giovane ricco, non trova il coraggio e desiste; o forse, invece, dentro quel silenzio che abbraccia gli amanti, si incammina con Gesù. A me piace immaginarlo così, consapevole e felice, felice perché consapevole. Il suo slancio non me lo figuro frenato, avvilito: soltanto contenuto, trasformato in un solco che gli attraversa l’anima. In quel solco, che è sempre anche ferita nel cuore della terra, vedo germogliare in lui una speranza più salda perché più inquieta, una fede più profonda perché più fragile, un cammino più autentico perché più umano.      Pastore Alessandro Esposito - www.chiesavaldesetrapani.com