Sono dieci le domande contenute in questa lettera, ma potrebbero essere cento o anche di più, e nascono tutte dall’unica domanda – quella iniziale, che è diventata il titolo di questo dialogo, e alla quale forse non c’è risposta. Ci sono domande che restano senza risposta affinché il problema che le suggerisce resti aperto e l’uomo non si stanchi di affrontarlo, anche se non riesce a venirne a capo. Per dare un’idea della complessità della questione possiamo riferirci a un frammento dei Soliloquia di Agostino, che qui dialoga con la Ragione (la sua), dunque con se stesso, intorno alla ricerca della verità. Ecco il frammento: Ragione. Rispondi adesso a questo: pensi possa accadere che il falso non esista? Agostino. Come potrei pensare ciò, dal momento che raggiungere la verità è così difficile da potersi dire che l’esistenza del falso è quasi più ammissibile dell’esistenza del vero? Da queste battute di un dialogo che occupa tutta l’opera, sembrerebbe che il falso esista. Ma la Ragione osserva che «nessuna cosa è falsa se non c’è nessuna alla quale appaia tale», e conclude che «la falsità non è nelle cose, ma nei sensi». In fin dei conti è l’uomo che ha creato le nozioni di vero e di falso. Ritorna perciò la domanda: il vero e il falso sono realtà oggettive, che esistono in sé, o sono invece realtà soggettive che l’uomo stabilisce e utilizza per descrivere, in base al suo discernimento, la realtà e orientarsi in essa? Che siano realtà più soggettive che oggettive risulta dal fatto che una stessa cosa può essere giudicata vera dagli uni e falsa da altri. E comunque, il falso (sia che esista in sé, sia che esista solo nel discernimento umano) ha un’esistenza propria oppure è solo un’assenza di verità? Il vero e il falso sono due principi autonomi che si fronteggiano in continuazione cercando ciascuno di prevalere sull’altro, o esiste solo la verità, mentre la falsità o la menzogna sono solo la negazione o la contestazione della verità? Questa serie di interrogativi è quella che, mutatis mutandis e con qualche variante, accompagna ogni riflessione sul male, sulla sua origine e sulla sua consistenza: tutti, in un modo o nell’altro, ne facciamo l’esperienza, e per tutti è «il problema dei problemi». Affrontandolo, sia pure solo per sommi capi, occorre anzitutto fare una distinzione fondamentale: molto del male presente nel mondo è causato dall’uomo, e non ha alcun senso (è solo un comodo alibi) addebitarlo a Dio. Auschwitz non l’ha creato né comandato Dio, l’ha deciso e realizzato l’uomo. La morte per denutrizione di milioni di bambini non è colpa di Dio, ma nostra. Le guerre continue che insanguinano la terra non sono opera di Dio, ma nostra. E così via. Ma anche se l’uomo, e lui soltanto, è responsabile di un bel po’ del male presente oggi nel mondo, resta pur sempre aperta la domanda: come mai l’uomo fa il male anziché il bene, e ne fa così tanto e quasi, si direbbe, con gusto, e inventandone sempre nuove forme? Perché l’uomo sembra affascinato più dal male che dal bene? Perché l’uomo, che pure teme il male, non ne è solo vittima, ma anche autore e complice? Ma accanto al male di cui solo l’uomo è responsabile, c’è indubbiamente nel nostro mondo una parte non piccola di male, di cui l’uomo non è responsabile – tragedie personali e familiari (Giobbe) o collettive (tsunami) – che suscitano in tutti, credenti e non credenti, innumerevoli «perché? ». Perché il male? Perché si abbatte su di me? Da dove viene? Da Dio? Sarebbe un suo castigo? O una prova? Ma Dio ricorre davvero a questi mezzi crudeli? Se non viene da Dio, viene dal Caso? Ma allora il Caso esiste – un Caso indipendente da Dio? O viene dal Destino, che esisterebbe anch’esso indipendentemente da Dio? Che senso può avere tutto questo? Nel lontano 1959 il prof. Vittorio Subilia, allora docente di Teologia sistematica presso la Facoltà valdese di Teologia, scrisse un bel volumetto (ristampato nel 1987, ma oggi purtroppo esaurito), intitolato appunto Il problema del male. Vi si espongono, in sintesi, i tre principali tentativi di risposta alla grande, antica, eterna domanda
Unde malum? ( = Da dove viene il male?).
1. Il primo è la risposta dualista. Non c’è un solo Dio, ce ne sono due, o meglio, c’è un Dio e un Anti-Dio, il Dio del bene e l’Anti-Dio del male. Essi si contendono il governo del mondo e l’anima dell’uomo: la storia umana e l’anima umana sono il loro campo di battaglia. Il male presente nel mondo non viene quindi da Dio, ma dall’Anti-Dio, che è una potenza negativa, tenebrosa, distruttrice, che Dio combatte, ma non controlla. Questa risposta ha il vantaggio di cancellare il sospetto che Dio sia autore o complice del male, ma ha lo svantaggio di limitare e relativizzare la signoria di Dio sul creato che invece, secondo la testimonianza della Scrittura, è piena e unica. Gesù è il Signore, non un Signore.
2. Un secondo tentativo di risposta è quello che consiste nella negazione del male, o meglio nella negazione che quello che ci appare come male, lo sia veramente. È un pensiero che si trova già nella filosofia greca antica, a esempio in Eraclito, che affermava: «Non si riconoscerebbe la parola giustizia se non esistesse l’ingiustizia», e ancora: «La malattia fa dolce la salute, il male fa dolce il bene, il riposo fa dolce il moto». Insomma, senza il male non esisterebbe neppure il bene. In campo cristiano viene subito in mente Agostino, giustamente citato dal nostro lettore, per il quale il male non ha consistenza propria, è semplicemente una assenza di bene (in latino
privatio boni). E molti secoli più tardi, nella seconda metà del Seicento, Leibniz dirà che questo è il migliore dei mondi possibili e che il male non è altro che l’imperfezione della creatura che, proprio perché creatura, non può eguagliare la perfezione del Creatore. Molti altri filosofi e teologi della modernità hanno sostenuto tesi analoghe, che per ragioni di spazio non possiamo qui esporre. Che cosa pensare di questa posizione? Essa ha il vantaggio di invitarci a non considerare unicamente il male in sé, isolandolo da tutto il resto, come se fosse l’unica realtà presente, quasi dimenticando il bene che pure esiste. Ma ha il grave svantaggio di sottovalutare l’ampiezza e la gravità del male, la sua enorme forza di attrazione e distruzione, la profondità del suo radicamento nell’animo umano e nelle strutture della società, i danni e la quantità incalcolabile di sofferenze che provoca nell’umanità ma anche nel mondo animale e nella natura. Sarebbe davvero bello se il male fosse solo una assenza di bene. Purtroppo non è così. La dottrina di Agostino – sia detto con tutto il rispetto – è una scorciatoia.
3. Un terzo tentativo di risposta è l’esatto contrario del precedente e consiste, per dirlo in estrema sintesi, nella negazione del bene. In che senso? Non nel senso di negare che ci siano nel mondo, nella natura, nella storia e nell’esperienza umana delle cose buone e belle, dei momenti felici, dei valori positivi per i quali valga la pena impegnarsi e anche sacrificarsi: è evidente che queste cose belle ci sono. Ma sono provvisorie, fugaci, destinate a scomparire, forse solo apparenti. Si potrebbe dire così: il male è permanente, il bene è apparente. La vita può anche essere bella, ma finisce nella morte, cioè nella sua negazione. Ci sono nel mondo sprazzi di bene, ma il male sembra prevalere. Il bene esiste, ma è perdente. Occorre avere il coraggio di prenderne atto e trarre le debite conseguenze. Questa, a grandi linee, è la posizione. Che cosa pensarne? Essa ha il vantaggio di prendere sul serio il male, come effettivamente bisogna fare. Ma ha il grave torto di prenderlo talmente sul serio da esserne quasi ipnotizzata. Dichiarando in anticipo la vittoria del male, sottovaluta pericolosamente il valore della battaglia contro di esso, che invece va affermato e sostenuto con forza. Altre posizioni dovrebbero essere presentate, come quella accennata dal nostro lettore che collega l’apparizione del male (sotto forma di peccato) alla libertà di cui l’uomo è dotato: c’è il male perché l’uomo è libero di farlo. Qui però non si spiega l’origine del male, si constata solo la sua esistenza e si dice che l’uomo è libero di farlo. Ma non è che il male esista perché l’uomo lo fa, ma l’uomo lo fa perché il male esiste. Se non esistesse, non potrebbe farlo. Il problema non è risolto, è solo spostato. È tempo di concludere e la conclusione è questa: alla domanda del nostro lettore non c’è una risposta convincente, quanto meno non ne ho una. Il male non viene da Dio (che non lo fa), neppure dall’uomo (che lo fa), è una grande forza negativa e distruttiva, che però non è Dio, ma sotto Dio. Gesù non l’ha spiegata, l’ha combattuta frontalmente e radicalmente. La risposta è dunque questa: non cercare soluzioni teoriche che non ci sono, ma lottare con tutte le forze, interiori ed esteriori, e con tutti i mezzi, contro il male nelle sue svariatissime forme, cominciando dalla più insidiosa: il male che si presenta come bene.
Paolo Ricca - da 'Riforma' del 22 aprile 2011 -
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