Sapevamo benissimo che TG1 era sotto controllo democristiano e TG2 sintonizzava i socialisti (allora i craxiani, avviati ad espungere del tutto ogni riferimento al socialismo dai loro programmi politici). TG3 – con il quale non era sempre facile sintonizzarsi – era la “riserva indiana” dell’opposizione di sinistra, in pratica del PCI, che non lasciava alcuno spazio a quella che allora era chiamata “sinistra extraparlamentare”, come – tanto per ricordare qualcosa di concreto - il Partito di Unità Proletaria in cui aveva militato Peppino Impastato, trucidato, con la ferocia tipica della mafia, nella stessa giornata in cui fu assassinato, con le modalità vigliacche tipiche delle Brigate Rosse, Aldo Moro.
A poco a poco avevamo abbandonato i TG nazionali per rivolgerci ai notiziari locali. Di solito li snobbavamo, poiché le notizie si riducevano quasi integralmente alla lettura dei comunicati di questura, tribunale e simili. Il dibattito politico consisteva nella lettura dei comunicati delle varie segreterie di partito o dei leaders. Per giunta quelli che leggevano, spesso, non sapevano leggere scorrevolmente e correttamente, il tono era piatto e a volte sembrava che non capissero le notizie che spiattellavano. Le inchieste erano rarissime e, quando c’erano, attente a non disturbare i “manovratori”. A questo punto mi viene necessario osservare che l’ evoluzione ha fatto il suo corso. Ora, 23 anni dopo, quelle modalità, che a noi sembravano negative, caratterizzano gran parte dei TG nazionali. L’evoluzione ha galoppato.
I notiziari preparati da Mauro Rostagno e dal suo gruppo di collaboratori per una televisione locale, RTC, ci avevano lentamente attirati, interessati, coinvolti. Proponeva interrogativi e spunti di riflessione, mostrava apertamente i diversi punti di vista, andava alle radici della notizia; esprimeva una visione sempre critica del “fatto”. ci coinvolgeva non solo per i contenuti ma esteticamente. Erano ben fatti, ben montati, presentati con scioltezza, senso dell’ironia, sfumature satiriche. I servizi facevano indovinare dietro le immagini i ragazzi con le cineprese in spalla in giro per la città oppure muso a muso con il politico cui si pongono domande.
Cenavamo con la compagnia di Mauro e dei suoi giovani redattori.
Stava lavorando ad un libro “La scuola del Sud”, che sarebbe uscito poco dopo la sua morte. Viene illustrata l’esperienza della comunità di recupero per tossicodipendenti “Saman”. L’abbiamo letto con interesse. E’ un vero e proprio trattato di “pedagogia sociale”, un magma di riflessioni che prorompe da un’esperienza in divenire. Sono segnati in copertina tre autori, I due fondatori di “Saman”, Francesco Cardella e Mauro Rostagno e la moglie di Mauro, Elisabetta “Chicca” Roveri.
Era chiaro, è chiaro per chiunque legga questo testo, che è una sola mano che scrive: Mauro. Ma è altrettanto chiaro che quella esperienza raccontata era non individuale ma di un collettivo; e quei tre autori, in fondo, ci stanno benissimo. Mi viene normale immaginare Mauro che discute animatamente e rifinisce e perfeziona ogni pagina del libro nel suo collettivo. Una grande personalità, un vero intellettuale che riesce a far sintesi degli apporti, delle ricerche, delle fatiche dei propri amici. Era la sua scelta di vita fondamentale, o almeno così a me sembra: impegnarsi per il miglioramento della vita della collettività assieme ad una collettività. Mai da solo, mai individualista ma personalità forte, estremamente delineata e continuamente in evoluzione.
Nel settembre di quel 1988 Mauro aveva cominciato a lanciare una campagna-annuncio per l’anno successivo. Brevi passaggi in cui si divertiva a farsi riprendere seduto su una gran poltrona dalla enorme spalliera tondeggiante e un bianco cappello sul capo; e intanto illustrava i nuovi servizi che si proponevano di mettere in onda. E nulla andò in onda. Andò in onda la notizia della sua morte, l’accorrere dei vecchi amici, che improvvisamente riscoprivano la sua preziosa presenza (troppo tardi) nel lontano territorio del trapanese. Andò in onda lo strano susseguirsi di ipotesi stranissime sui suoi uccisori, mentre tutti pensavamo che se quello non era un delitto di mafia…che cos’era?
Rimanemmo sconvolti. Era un fratello, un’allegra compagnia, un’intelligenza fragorosa che scompariva dalla nostra quotidiana camminata.
Ho avuto la sensazione che la sua morte segnasse anche l’estinguersi di una delle migliori aspirazioni del ’68, quel “l’immaginazione al potere”, contraddetta ferocemente – in quel 1988 - dai governi romani strombazzanti tra debiti e bagordi. ( e il debito? vediamo ora – ora 2011 – come ha proceduto allegramente, ben sostenuto e rifocillato dai nostri governanti; e i bagordi? C’erano anche allora, ma non avevano ancora trovato il vecchietto disinibito che sbava in pubblico le proprie voglie).
La notizia dell’assassinio mi ha rivoltato. E ho dovuto scrivere, per me, qualcosa che me lo fissasse nelle viscere della mente. E’ venuta fuori questa poesia qua sotto.
CHI INVETRINERA’ PIU’ I GRASSI PERCETTORI DI TANGENTI
A Mauro Rostagno assassinato dalla mafia in Trapani
Venne Mauro nella terra nostra
montagna campagna ragazzi accanto vivendo
Stette bene forse certo stette
durante ricerche incontri parole amore
Poco visse dove voce manca
Scazzando palazzi giornali scogliere loggiati
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Ora siamo nella nostra fogna soft
vorremmo con pochi omaggi curarci l’anima acida
Mauro morto anche perché niente cambia
niente cambiamo col nostro lamento straccione facile sbrodolo
Questi nostri capi loggia città mafia
perdettero una sera di settembre il rompiscatole tenero
Dura dolce lotta dura dolce lotta
acuminata punta del pensiero sprofondava nella putrida notizia
Trapani 28 / 9 / 1988 Giovanni Lombardo
( poesia come volantino durante i funerali di Mauro )