Questa lettera era molto più lunga, l’ho dovuta tagliare, a malincuore, per le solite ragioni di spazio. Me l’ha mandata il pastore al quale è stata indirizzata, dopo aver chiesto e ottenuto il consenso di Debora. È una bella lettera, di un’ex-catecumena che, a contatto con l’insegnamento universitario sull’origine della vita e sull’evoluzione delle specie viventi dalla cellula iniziale fino all’uomo e oltre, non può non essersi dissociata da ciò che al riguardo dice la Bibbia ed essersi chiesta seriamente se possiamo davvero considerare «parola di Dio» un libro che fa delle affermazioni che, sul piano scientifico, sono oggi insostenibili. Ma se la Bibbia sbaglia, tutto l’edificio della fede comincia a vacillare, anche se Debora non vorrebbe rinunciare al Nuovo Testamento con «il suo messaggio di amore e umiltà», benché anche qui non manchino i punti oscuri: se Dio è onnipotente, perché ha «permesso la Shoà»? Insomma: «un briciolo di fede» rimane, ma le domande sono tante e i dubbi «enormi» (come dice Debora in una parte omessa della lettera).Ho detto che questa lettera è bella. Perché «bella»? Per due motivi. Il primo è che Debora, che ha 21 anni, si chiede se vi sia «una soglia oltre la quale si cade nell’ipocrisia». Debora cioè non vuole essere ipocrita, non vuole apparire diversa da quella che è, non vuole mentire a se stessa e agli altri, non vuole illudere nessuno a cominciare da se stessa, non vuole recitare la parte della credente, dato che in questo momento della sua vita i dubbi sono più grandi delle certezze: perciò lei non rimuove i problemi, ma li affronta. Questo è molto bello, e io auguro a Debora di custodire tutta la vita, come un dono prezioso, questa sua esigenza di trasparenza. Il secondo motivo per cui la sua lettera è bella è che Debora non ha tenuto per sé dubbi e domande, ma li ha condivisi con il suo pastore; non ha quindi voluto risolvere da sola questi suoi problemi, e anche questo è molto bello, perché nei momenti critici della vita e della fede è importante ricordare che, come dice Debora, «non siamo soli», nel senso che c’è Dio, ma anche nel senso che c’è una comunità cristiana, abbiamo fratelli e sorelle e un pastore che ci possono e vogliono ascoltare, consigliare e aiutare. Certamente il pastore di Debora avrà già avviato un dialogo con lei e questa è la cosa fondamentale. Ma siccome la lettera è stata inviata anche a questa rubrica, cercherò anch’io di rispondere alle domande che contiene, e che sono sostanzialmente quattro: (1) Come la mettiamo con il racconto biblico, che scientificamente non sta in piedi? (2) La Bibbia è o non è Parola di Dio? (3) Si può conciliare l’onnipotenza di Dio con la Shoà? (4) Ha senso credere «nonostante tutto»?
1. Che il racconto biblico della creazione non stia in piedi da un punto di vista scientifico è cosa nota da qualche secolo, in particolare dalla rivoluzione di Nicolò Copernico (1473-1543), così come è noto da tempo che l’origine della vita, l'apparizione della moltitudine di esseri viventi di ogni tipo fino all'uomo, e in generale l'evento che noi chiamiamo 'creazione' non si sono certamente svolti così come li descrive la Bibbia. Ma proprio questo è il punto. La Bibbia non intende affatto descrivere come le cose si sono svolte, intende dire, con quelle pagine antiche ma non invecchiate, alcune verità profonde che, in estrema sintesi, sono queste: [a] L’universo e, in esso, la vita nelle sue tantissime forme animate e inanimate, non si sono fatte da sé, non sono dovute a una combinazione di «caso» e «necessità», ma risalgono a un atto libero di una volontà buona e benefica. [b] L’uomo è, tra tutte le creature, quella che Dio ha chiamato a una responsabilità particolare e unica nel creato: custodirlo e lavorarlo; questa chiamata o vocazione comporta un dialogo tra Dio e l’uomo ed è per questo che l’uomo parla: nella Bibbia il primo dialogo dell’uomo è con Dio. [c] L’uomo e la donna sono fatti della stessa pasta umana: è il messaggio della famosa costola, che acquista tutto il suo valore quando si sa che a quei tempi era opinione corrente che la donna fosse qualitativamente inferiore all’uomo, a metà strada tra l’uomo e l’animale. Insomma: il racconto biblico della creazione è di una ricchezza e profondità straordinaria; potremmo e dovremmo chiamarlo «l’Evangelo degli inizi». Anche la questione dei sei giorni contiene un messaggio stupendo: i sei giorni sono funzionali al settimo e il settimo è funzionale all’uomo, per ricordargli due cose che volentieri dimentica (non è un caso che il comandamento dica: «Ricordati del giorno di riposo...»): la prima è che l’uomo non è una bestia da soma che deve sempre e solo lavorare; come Dio, si può riposare; la seconda è che non è più grande di Dio, così da non avere bisogno di riposare: se Dio, dopo sei giorni di lavoro, ha sentito il bisogno di riposare, si riposi anche l’uomo! Il riposo è un grande atto di libertà.
2. LaBibbia è o non è ParoladiDio? Sì, loè, ma non è solo Parola di Dio, è anche parola di uomini. Sono uomini, e non angeli, che l’hanno scritta, uomini che ovviamente riflettono la cultura, anche quella scientifica (ma non solo), del loro tempo. È chiaro ad esempio – a proposito del discorso sulla creazione – che gli autori della Bibbia hanno tutti una visione tolemaica dell’universo, con la terra al centro e tutto che le gira intorno, a cominciare dal sole. Questa visione non è più la nostra, ma questo non toglie nulla al valore della Bibbia, che non vuole dirci com’è fatto l’universo e chi gira intorno a che cosa, ma vuole dirci che cosa ci stiamo a fare, noi, nell’universo. La Bibbia è Parola di Dio non come libro di scienza, ma come messaggio di liberazione, santificazione, consacrazione, perdono e riconciliazione, per fare di noi dei testimoni del Regno, cioè degli uomini e delle donne di fede, speranza e amore, che amano la verità, la libertà, la giustizia, la pace, la fraternità e cercano di seminarle nel mondo con la loro vita. Tutte queste sono le «parole di Dio» di cui la Bibbia è uno straordinario e vivo documento, e lo rimane di generazione in generazione. Queste parole divine ricorrono tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento. L’ho detto e lo ripeto: lo stesso racconto della creazione è pieno di Evangelo. Certamente a noi spetta un compito arduo e delicato: imparare a distinguere, nella Bibbia, la Parola di Dio da quella degli uomini. Nella Bibbia ci sono tutte e due, ma solo la prima è salutare, la seconda è caduca.
3. L’onnipotenza di Dio e la Shoà. Debora dice che Dio ha «permesso la Shoà». E quando mai? «Permettere» vuol dire autorizzare, acconsentire, concedere, come se Dio avesse detto: «Fate pure» Ma Dio ha detto tutto il contrario. Ha detto: «Non uccidere». Dio ha sicuramente odiato la Shoà con tutto il suo cuore, è inorridito davanti a essa (parlo di Dio umanamente, non so come dirlo altrimenti). Ma si obietta: Perché non l’ha impedita? Non è forse onnipotente? Rispondo con Paul Ricœur. «Il modello di onnipotenza che abbiamo è un modello politico, quello del tiranno che può ottenere tutto ciò che vuole. Questa idea dell’onnipotenza di Dio, messa in crisi dall’esistenza del male, rivela nel contempo il suo carattere periferico, secondario nella fede... Con il Nuovo Testamento compare la figura del Servo sofferente che arriva a cancellare definitivamente l’immagine di un Dio onnipotente... Questo significa forse che dobbiamo rinunciare del tutto all’idea di onnipotenza? No, ma bisogna riformularla in termini di amore. Da onni-potente Dio diventa l’“onni-amante”. È una visione della potenza, quella dell’amore... Ma perché, allora, Dio non ha impedito Auschwitz? È un sogno di tirannia pensare che Dio possa intervenire in questo modo nella storia. L’unico potere di Dio è l’amore disarmato»1. Non saprei dire di più né meglio, anche se mi rendo conto che tante domande restano, e altre nascono. Dobbiamo arrenderci all’evidenza: abbiamo più domande che risposte.
4. Ha senso credere «nonostante tutto»? Sì, ha senso, anzi si può credere solo così: «nonostante tutto». Tutto infatti contraddice la nostra fede. Crediamo nella Parola e la predichiamo, ma il mondo non cambia. Ciò che si vede – la realtà di tutti i giorni – contraddice ciò che non si vede – il Regno di Dio si presenta, ma nascosto. Crediamo nella pace e vediamo la guerra. Crediamo nell’amore e vediamo l’odio o l’indifferenza. Crediamo nella fraternità e vediamo crescere il razzismo. Crediamo nella nonviolenza, e la violenza dilaga. Crediamo nell’uguaglianza dei diritti e dei doveri, e vediamo aumentare le disuguaglianze. Siamo quindi costantemente contraddetti. Non solo, ma noi stessi contraddiciamo la fede che professiamo con le nostre infedeltà e incoerenze. Qualche volta perciò ci prende una sorta di scoramento e siamo stanchi di «sperare contro speranza» come Abramo. Verrebbe voglia, qualche volta, di rinunciare al «buon combattimento della fede». Ma il ricordo di Gesù ce lo impedisce. A motivo di lui, e per la forza che ci dona, «nonostante tutto», crediamo.
1. Paul Ricœur, La logica di Gesù, a cura di Enzo Bian- chi, Ed. Qiqajon, Comunità di Bose 2009, pp. 142-144.
Paolo Ricca - da 'Riforma' n.39 del 14 ott 2011 - www.chiesavaldesetrapani.com