Marco come Kato e Tomizawa, Marco come Ayrton Senna. Tutti uniti in una fine tragica, ma che è parte delle corse, siano esse in moto che in macchina. L’angoscia dei cronisti Mediaset, il papà di Marco fuori dal medical center di Sepang e le immagini dei volti terrorizzati di Valentino e degli altri piloti, sono frammenti di Motociclismo che non avremmo mai voluto vivere.
Marco Simoncelli era nato 24 anni fa a Cattolica, ma viveva a Coriano, e aveva iniziato a gareggiare sulle due ruote da piccolo. Dopo gli inizi e le battaglie in minimoto, con uno dei grandi rivali con cui avrebbe poi incrociato ancora le traiettorie anche in MotoGP, Andrea Dovizioso, Marco Simoncelli, un prodotto della Romagna veloce, genuina e ruspante, nel 2002, dopo essere stato campione europeo della 125, debutta nel mondiale con l’Aprilia, a Brno. Il primo successo nel 2004, in Spagna, poi il salto in 250 nel 2006, con la Gilera. Tre stagioni, e nel 2008 arriva il Mondiale, con 6 vittorie, trionfo che gli aprirà, nel 2010, le porte della MotoGP, dove si mette subito in evidenza per la sua velocità.
Quest’anno brilla soprattutto in prova, con le due pole in Catalogna e Olanda, lasciando perplessi, però sul rendimento in gara, dove l’esuberanza lo penalizza in varie circostanze mentre si stava mettendo in mostra. Dopo tante delusioni – e polemiche, scatenate da molti colleghi, cui non è simpatico, e che non ne gradiscono la guida così aggressiva, ritenendola pericolosa per sé e gli altri -, finalmente la gioia del podio, proprio a Brno dove aveva debuttato nel motomondiale. In precedenza, però, il suo profilo di pilota era più noto per gli incidenti - su tutti quello con Pedrosa a le Mans - frutto di una guida al limite, generosa oltremodo, che aveva anche fatto dire scherzosamente a Rossi: "Il Sic è un bastardo, guida così, ti passa in un punto in cui se non ti rialzi tu, si rischia di cadere entrambi".
Proprio la settimana scorsa, in Australia, il suo migliore risultato, 2°, con la speranza di migliorarsi ancora, forte anche della rinnovata fiducia che la Honda gli accorda per il 2012, quando aveva strappato un contratto da ufficiale, sempre con il team Gresini.
Diplomato in gestione delle comunità alberghiere, aperto, sorridente, gioviale, un pilota disponibilissimo con tutti, Marco lascia il papà Paolo, che lo seguiva sulle piste e che per assecondarlo nella sua carriera di pilota ha lasciato la sua attività; la mamma Rossella; l’adorata sorellina Martina; la fidanzata Kate e un grande vuoto. Non solo per quello che avrebbe potuto dare in pista, al motociclismo mondiale e al tricolore. Una bella persona, l’erede di Rossi, di cui era amico, per talento e velocità, esuberante come lui, vezzoso con quella capigliatura foltissima che era diventato un suo marchio. Uno mai banale. Uno vero. Uno che ci lascia tutti al buio. Senza parole.