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15/12/2011 10:28:31

Una bibbia, piu' voci

Dall’esperienza vissuta e patita nascono anche le garanzie previste dai testi legislativi propri della tradizione biblica per quanto riguarda gli stranieri che abitano in terra israelita: «Avrete una stessa legge tanto per lo straniero, quanto per il nativo del Paese», recita il testo di Levitico 24:22. Il motivo che sostanzia questo atteggiamento, oltre al fatto che, nella tradizione ebraica, la terra appartiene a Dio e tutti noi la abitiamo come stranieri ed ospiti (Levitico 25:23), risiede proprio nella consapevolezza che deriva ad Israele dall’esperienza diretta: «Amate lo straniero» - recita infatti il libro del Deuteronomio «poiché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto» (Deuteronomio 10:19). Il passato, però, specie quando è tragico, si tralascia con disinvoltura: così lo ha confinato nel dimenticatoio un popolo di migranti quale fu (e con ogni probabilità tornerà ad essere) il nostro. Ecco perché la tradizione ebraica insiste tanto sulla memoria: per il fatto che è tutt’altro che scontato che chi ha vissuto una determinata condizione se ne ricordi quando, a viverla, non è più lui, lei, ma l’altro.   L’aspetto che quest’oggi vorrei approfondire, però, è un altro, altrettanto attuale, specie in seno alle nostre chiese che, sia pure tra mille difficoltà, lo stanno lentamente mettendo a fuoco, anche se, credo, non lo hanno ancora davvero affrontato. Si tratta del rapporto che, nella tradizione protestante, lega indissolubilmente le Scritture alla vita della chiesa: i testi biblici, difatti, sono gli unici che, nell’ottica riformata, possono rivestire un ruolo normativo per ciò che attiene all’ambito della fede. Questa affermazione, normalmente, è data per assodata: eppure, mi sembra, non mancano gli elementi per metterla in discussione, non certo in modo polemico ma  -almeno questa è la speranza - in maniera feconda. Ogni osservazione che intenda stimolare il pensiero, difatti, dovrebbe essere accolta positivamente: anche questa, a rigor di logica, credo che possa essere considerata una delle eredità della Riforma; eppure, almeno mi pare, è assai più trascurata del costante richiamo alle Scritture. Ora, è fuor di dubbio che tale richiamo sia indispensabile: bisogna però vedere in che modo esso viene effettuato e compreso. Provo a spiegarmi meglio: se la bibbia viene considerata alla stregua di un testo giuridico strutturato ed unitario, al quale è indispensabile ricorrere per dirimere controversie e, soprattutto, per mettere a tacere il dissenso - anche se motivato -, allora le perplessità di fronte al suo utilizzo diventano, almeno per quanto mi riguarda, molteplici. A titolo esemplificativo, per evitare l’inutile complessità dei discorsi astratti, ho inteso riportare quest’oggi due testi, entrambi biblici, entrambi canonici, entrambi, persino, profetici: uno tratto dal libro di Ezechiele, l’altro da quello di Isaia. Ambo i testi appartengono al periodo cosiddetto post-esilico, quello in cui gli abitanti di Gerusalemme e della Giudea, in particolare le loro «classi dirigenti», fecero ritorno dall’esilio in Babilonia. Insomma: due brani biblici che, sotto molti aspetti, presentano dei tratti comuni che ci consentono di accostarli; eppure, lo abbiamo ascoltato, dicono cose molto diverse tra loro. In Ezechiele allo straniero viene precluso l’ingresso al tempio, di cui verrà poi narrata la ricostruzione; in Isaia, al contrario, questo stesso tempio è chiamato a divenire «casa di preghiera per tutti i popoli». In sostanza: il libro di Ezechiele difende una visione del culto legata ad un’accezione della religione intesa come appartenenza etnica, culturale ed identitaria; il libro di Isaia, al contrario, manifesta delle evidenti aperture che interpretano il tempio ed il culto quali luoghi dell’accoglienza. E non sarà certo un caso che Gesù seguirà le orme di Isaia, che lo condurranno ad un progressivo ed inevitabile conflitto con il sacerdozio del tempio, la sua comprensione del culto e la sua visione sociale. In entrambe le narrazioni che abbiamo ascoltate, manco a dirlo, il soggetto a cui vengono attribuite le affermazioni che leggiamo è nientemeno che Dio. Ora, avanzare il sospetto che, dietro il volto di Dio, vi sia quello di chi materialmente ha redatto i due testi, mi sembra non soltanto plausibile, ma inevitabile ed intellettualmente onesto. Ezechiele ed Isaia rappresentano due voci che, per molti versi consonanti, sulla condizione dello straniero nell’ambito cultuale esprimono un’evidente dissonanza: è un fatto, non un’opinione. Che significa tutto questo? I testi biblici, dunque, possono non coincidere e persino essere in disaccordo quando si esprimono su un medesimo argomento, anche nel momento in cui non vi è una distanza cronologica significativa a  separarli? A quanto pare sì. Ma questa constatazione, difficilmente contestabile, diventa un problema soltanto se della bibbia abbiamo una visione che ci porta a considerarla come normativa nella nostra vita di fede: ovvero, se ne recepiamo i testi senza alcun margine lasciato all’interpretazione, senza preservare lo spazio per un indispensabile lavoro di contestualizzazione. Ecco perché ritengo che sarebbe tempo, ormai, di essere fedeli al più profondo dei nostri principi, secondo cui la chiesa riformata è sempre riformabile: espressione che affermiamo spesso di condividere ma che assai meno spesso siamo disposti a mettere in pratica. E in questo cammino di revisione costante, la nostra chiesa è chiamata ad un duplice, delicatissimo lavoro: quello di rimanere fedele alla tradizione reinterpretandola e non riproponendola senza alcuna variazione. Questo compito incessante e ineludibile dovrebbe portarci a considerare il testo biblico come elemento imprescindibile non tanto ai fini della definizione della nostra fede - la quale, inevitabilmente e fortunatamente, possiede un’insostituibile componente personale - quanto, piuttosto, del suo orientamento. Con le Scritture bibliche, senza dubbio, la fede ebraico-cristiana è chiamata costantemente a confrontarsi: non, però, nel senso dell’adeguamento passivo alla lettera del testo, ma in quello dell’apertura alla dimensione della domanda che lo spirito del testo custodisce e sollecita. La bibbia, infatti, è un invito incessante al rinnovamento della comprensione, che, come la vita che essa interroga, costituisce un processo sempre in atto, mai concluso. Di questo processo fanno inevitabilmente parte anche le contraddizioni di cui un testo complesso e composito qual è la bibbia è intriso: ma di queste dissonanze dobbiamo imparare a cogliere l’aspetto positivo che il filosofo francese Paul Ricoeur individuava nel rimando che esse contengono ad una fede pensante anziché obbediente. Se come credenti non intendiamo rinunciare a diventare adulte e adulti nella fede, il testo biblico deve sollecitare la nostra capacità di interrogarci assai più che soddisfare la nostra sete di risposte. In questo senso, non ricorreremo alla bibbia per incontrare illusorie rassicurazioni, ma vi attingeremo come alla fonte della nostra sana inquietudine, quella stessa che, come riferisce un anonimo, dona al contempo la sete e l’acqua. La bibbia non sta lì per rispondere ai nostri interrogativi, ma per suscitare i suoi; non è il prontuario da consultare quando si presenti il caso di pareri discordanti, ma il libro che invita alla discussione incessante, al confronto schietto e inesauribile, a quel dialogo interminabile di cui le sue pagine sono la testimonianza più intensa e incontestabile. Riconoscere un valore al testo biblico significa non ridurlo a materiale da consultazione al quale, sovente, si ricorre per condannare l’altro ed i suoi convincimenti: le Scritture, al contrario, hanno un valore inestimabile perché ci insegnano a riconoscere nel limite la nostra condizione e la nostra bellezza. E chi è capace di assumere il limite come spazio in cui muoversi ed esprimersi, accoglie anche le limitazioni altrui, nelle quali riesce a scorgere la presenza delicata del Dio nascosto, Padre di quella meravigliosa imperfezione che siamo e in cui, Egli, ha deciso di rivelarsi.   [Trapani, Domenica 11 dicembre 2011 - Pastore Alessandro Esposito] - www.chiesavaldesetrapani.com