«Marco Rossari ha una salda sovranità sulla lingua e sulla scrittura».
TIZIANO SCARPA
«Per quanto l’autore rivendichi la sua pochezza a noi resta il senso di una voce difficile da dimenticare, che ci terrà stretti ancora a lungo».
Pulp
Cosa accadrebbe se a James Joyce venisse rifiutato ogni libro? E se Tolstoj fosse ospitato in radio a Roma, per ascoltare il parere di Ilaria da Foggia? E se William Shakespeare finisse alla sbarra con l’accusa di plagio? Sono solo alcuni dei ritratti paradossali che questo libro ha in serbo per il lettore. Con una prosa scanzonata, L’unico scrittore buono è quello morto illumina splendori e miserie del mondo letterario, senza risparmiare i mostri sacri. Autori e lettori, editori e traduttori finiscono in un frullatore di racconti che miscela una metafisica Praga ribattezzata Kafkania (dove i bordelli si chiamano “Il castello”, “La condanna” o “La colonia penale”) con una San Francisco iperletteraria dove vagano i sosia dei beat, uno scrittore beone alle prese con una lettrice assatanata e un poetastro in gara nel poetry slam più sgangherato della storia. Una parodia esilarante per aspiranti scrittori e lettori sgamati, che snocciola un’indimenticabile carrellata di personaggi afasici, perduti, smarriti nel tragicomico labirinto delle lettere. Un libro per tutti quelli che vogliono scrivere e per chi li farebbe fuori volentieri, ma anche un grande atto d’amore per la forza della scrittura.
L’autore
Marco Rossari ha pubblicato Perso l’amore (non resta che bere) per Fernandel nel 2003, Invano veritas per e/o nel 2004 e L’amore in bocca per Fernandel nel 2007. Lavora come traduttore, giornalista e consulente editoriale. Collabora con “Wired” e scrive su “Il primo amore”. Ha tradotto Percival Everett, T.S. Eliot, Mark Twain, Alan Bennett, David Nicholls, Hunter S. Thompson, David Benioff e altri ancora.