Di chimere si sente parlare da millenni. La mitologia ci ha abituati a pensare alla chimera come a qualcosa di mostruoso o quantomeno anomalo. Si legge nell’Iliade "...Era il mostro di origine divina, leone la testa, il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco: e nondimeno, col favor degli Dei, l'eroe la spense..." Oggi, però, le storie legate ai miti divini sono state sostituite dalle imprese dell’ingegneria genetica, che permette addirittura di creare nuove entità animali, umane e ibridi uomo- animale. La chimera non è più un mostro ma una normalissima scimmietta creata in laboratorio. A causa della somiglianza tra la chimera creata dagli Dei e quella di umana produzione, non mancano ovviamente minacciosi moniti a non sostituirsi con questi “esperimenti” all’opera del Signore.
Preferendo non entrare nel merito di tali richiami, è interessante notare che mentre ne parliamo queste creazioni stanno prendendo sempre più piede, e senza che l’uomo comune ne abbia contezza si diffondono in maniera trasversale nella ricerca scientifica. Dice il filosofo tedesco Hans Jonas, teorizzatore di un moderno principio di responsabilità: “L’uomo è un essere previdente. Oltre alla facoltà di estorcere alla natura tutto nel modo più irresponsabile, l’uomo ha anche quella di riflettere sulla responsabilità che ha in ciò. Egli può e deve percepire il valore di quello che è in procinto di distruggere1.”
La riflessione, che sorge spontanea nel caso della creazione delle moderne chimere, riguarda l’opportunità - in vero sempre manifesta nell’esigenza umana di spingersi oltre i limiti delle proprie conoscenze - di soddisfare questo genere di curiosità senza un’attenta disamina dei problemi etici connessi. L’uomo riesce davvero a coniugare sempre responsabilità e spinta verso l’ignoto? Sono domande che suscitano dibattiti molto accesi fra gli studiosi, ma che servono qui solo per indagare sulla tecnica del chimerismo.
Come sono state create le scimmie chimeriche?
Innanzitutto, c’è da sottolineare come questi primati siano esteriormente scimmie e non si presentino con qualche particolare stranezza. La loro chimerizzazione, infatti, non ha influito sui caratteri morfologici e somatici quanto piuttosto su una parte non visibile ad occhio nudo, ossia il loro genoma.
Le scimmie Roku, Hex e Chimero, sono state sì create utilizzando parti di animali diversi, ma non attraverso ritagli fisici, alla frankenstein per intenderci; i ricercatori hanno invece “mescolato” i loro genomi. Roku e Hex sono gemelli, nati dall’unione di materiale genetico proveniente da 6 diversi embrioni. Le cellule embrionali non fuse tra loro - quindi ognuna ha conservato il suo patrimonio genetico individuale - sono state inserite in una blastocisti di scimmia rhesus e successivamente impiantate nell’utero di una scimmia rhesus. Le scimmie nate sono quindi l’effetto di più embrioni, ognuno dei quali si è differenziato senza fondersi con gli altri, dando poi vita a tessuti e organi. Le scimmie sono pertanto portatrici del corredo genetico di sei individui diversi.
Un mosaicismo mai realizzato finora, anche perché la ricerca sulle cellule staminali derivate da embrioni - definite totipotenti poiché prelevate dall’embrione a uno stato molto primitivo, nel momento in cui appunto possono differenziarsi in qualsiasi organo o tessuto - ha sempre puntato alla risoluzione del problema di fondo di questa applicazione dell’ingegneria genetica: il controllo della differenziazione.
La tecnica utilizzata con queste scimmie desta ancor più stupore, se si pensa che gli embrioni si sono “divisi i compiti” in modo per certi versi impensabile. La scoperta, ovviamente, apre un vaso di pandora su una serie di problemi etici, primo tra tutti l’eventuale utilizzo sugli uomini.
Sarà possibile creare un embrione multi-embrionale umano?
Viene da pensare che, se si è fatto sulle scimmie, gli scienziati vorranno estendere le potenzialità di questa ricerca agli uomini, come dichiarato tra l’altro dai ricercatori della Oregon Health and Science University, creatori delle scimmiette chimeriche.
Superfluo rimarcare, ancora una volta, come gli zelanti oppositori a questa estensione all’umano non si siano invece mai interrogati sull’eticità della sperimentazione ai danni delle scimmie.
A questo punto ci chiediamo: - E se non funzionasse sull’uomo come sulle scimmie? E se le speranze per la medicina rigenerativa fossero disattese a causa della diversità tra uomo e scimmia?
Ricordando Jonas, ci viene da chiedere: - Ma prima di effettuare queste ricerche, e sacrificare tanti esseri viventi in nome di un forse, e di una speranza, non sarebbe meglio interrogarsi prima sul nostro ruolo nell’universo e sulla responsabilità che ci dovrebbe guidare?
Paola Sobbrio