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09/02/2012 15:42:12

La nostra inquietudine di fronte alla pluralità

Si possono dire cose banali, considerando che la mondializzazione, l'accelerazione della circolazione delle persone e delle informazioni, la rapidità del cambiamento in tutti gli ambiti ci danno la sensazione di essere bombardati da una quantità sempre maggiore di novità e di diversità. Nell'incertezza risultante da questo cambiamento permanente, i giudizi, le opinioni si disperdono senza potersi confrontare in un dibattito pubblico produttivo. Prendiamo l'esempio della scienza Abbiamo vissuto a lungo con un consenso – almeno relativo – sui benefici dello sviluppo della scienza. Oggi, il nostro rapporto con la scienza è molto più complesso. Sappiamo che più scienza non è solo più capacità di distruzione, più questioni etiche difficili, ma soprattutto, paradossalmente, un numero ancora maggiore di problemi non risolti, le cui poste in gioco sfuggono ai cittadini. Ci vogliono gli OGM o no? Il dibattito non si traduce in “a favore” o “contro”, è molto più pluralizzato. Non oppone solo dei “progressisti” da un lato e dei “reazionari” dall'altro. Per molto tempo si è potuta descrivere la scena sociale dividendola tra coloro che volevano andare verso il movimento e coloro che, al contrario, lo rifiutavano e vi si opponevano. Questa semplificazione oggi non tiene più. Anche sul terreno religioso, lo schema che oppone “progressisti” e “conservatori” o “tradizionalisti” semplifica troppo e non permette di dare un quadro completo della varietà delle opinioni religiose e delle opzioni spirituali.

Nel suo libro Catholicisme, la fin d'un monde, lei descrive il crollo, in fondo recente, della cultura cristiana comune...
La diminuzione della popolazione cattolica praticante in Francia è cominciata molto tempo fa, ma questo processo è stato a lungo compatibile con la preservazione di una matrice culturale originaria del cattolicesimo, laicizzata. Gli individui, anche se non erano di convinzione cattolica, anche se erano lontani o ostili al cattolicesimo, si inserivano in questa matrice comune, che ha contribuito a dare la loro forma alle istituzioni secolari (lo Stato, la scuola, l'ospedale, l'università, la famiglia...) e ha continuato ad impregnare le mentalità. Da questo punto di vista, la Francia, paese molto
secolarizzato e religiosamente plurale da lunga data, poteva tuttavia essere detta “paese di cultura cattolica”. A partire dagli anni '60, si osserva la dissoluzione di questa matrice culturale con l'avvento di una cultura mondializzata dell'individuo.

Che cosa potrebbe sostituire oggi questa matrice culturale?

Quello che osservo, è proprio che non c'è nulla che la possa sostituire. L'idea di “cultura comune” è una nozione praticamente vuota, e questa è una delle cause dell'aumento delle ossessioni commemorative e patrimoniali che sono un modo un po' disperato di riprenderne le redini. La nostra società è composta di universi culturali staccati, che entrano molto poco in contatto gli uni con gli altri. Questa affermazione può sembrare in contraddizione con la presupposta “omogeneizzazione” di una cultura mondializzata, ma la circolazione mondializzata di beni culturali non significa l'appropriazione condivisa di saperi, di valori, di esperienze che potrebbero sviluppare un rapporto comune con il mondo. I grandi racconti federatori – nazionale, operaio, cattolico, laico – hanno perso la maggior parte della loro capacità mobilitatrice. Questi grandi racconti, confrontandosi e facendo polemica tra loro, creavano lo spazio di una pluralità feconda. L'atonia presente del dibattito pubblico è un indicatore della dispersione e dell'impermeabilità degli universi culturali gli uni agli altri, come delle bolle fluttuanti le une accanto alle altre.

Lei ha proposto, in Le Pèlerin et le converti, una lettura della crescente diversità religiosa nelle nostre società. Da allora, ha visto un'evoluzione nella pluralità religiosa?


La mia opinione non è cambiata, ma osservo anche la crescita di un fenomeno a cui non avevo prestato sufficiente attenzione allora, che è quello dell'esaurimento del pellegrino! Associavo la figura del pellegrino – e la mobilità che gli è connessa – ad una sorta di appetito della scoperta di nuovi territori, un'attrazione spirituale dell'alterità. Il convertito, invece, era come un pellegrino che deponeva le valigie, sospendeva la ricerca e assumeva la sua identità religiosa come una scelta personale, pronto ad andare poi di scelta in scelta. Ciò che constato oggi, è che la traiettoria del pellegrino non giunge necessariamente ad una scelta. Può anche insabbiarsi, diluirsi, quando la ricerca spirituale è sommersa dalla fatica di essere se stessi, come dice Ehrenberg. La religiosità pellegrina può anche essere una maniera, che merita attenzione, di uscire dalla religione.

Che cosa direbbe della qualità della diversità religiosa oggi? È reale?

La “metafora del supermercato” è stata molto utilizzata per descrivere la diversità religiosa contemporanea, con l'idea che l'individuo fa i suoi “acquisti” di beni simbolici e spirituali e mette nel suo carrello ciò che vuole. Al di fuori del quadro delle istituzioni compone allora il suo piccolo racconto credente singolare. Ma questa metafora può anche essere letta diversamente. Il supermercato è anche il luogo in cui si trovano tutti i tipi di marche diverse che ricoprono un prodotto, in fondo, identico. Nell'ambito dei beni simbolici e religiosi, come in altri ambiti, l'economia ultramoderna produce sia la standardizzazione della produzione che la personalizzazione estrema del consumo. Si è invitati a consumare “come se vi fossero destinati personalmente” dei prodotti assolutamente uguali. Indipendentemente dalle varie famiglie religiose, si constata così una riduzione minimalista del messaggio religioso – dal punto di vista della sua densità teologica – ed una diversificazione dell' “offerta” presentata in una forma che si ritiene adatta a rispondere alle attese più immediate dei consumatori spirituali.

intervista a Danièle Hervieu-Léger, a cura di Élodie Maurot