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24/02/2012 08:57:49

Saremo tutti giudicati da Dio: ma quando? - ll teologo risponde

È vero che il giudizio qui e ora non cancella quello finale: ci sarà  infatti una «risurrezione di giudizio» (5, 29), ma questo giudizio finale avverrà sulla base della parola che Gesù ha  annunciato qui in terra: «È quella parola che lo giudicherà all’ultimo giorno» (12, 48), cioè, appunto: il giudizio finale si  svolge oggi, secondo la risposta, positiva o negativa, che diamo alla parola annunciata da Gesù. L’accento, in Giovanni, cade dunque chiaramente sul giudizio qui e ora, che cronologicamente non è finale nel senso che non è l’ultimo, ma il  penultimo; sostanzialmente però è già quello finale, perché quello che avverrà alla fine non sarà altro che la conferma  definitiva di quello che ha luogo qui e ora. Perciò alla domanda del nostro lettore: «Quando sarò giudicato: alla mia  morte o alla fine de tempi?», l’evangelo di Giovanni risponde: «Né alla tua morte né alla fine dei tempi: il tuo giudizio  finale ha luogo, sostanzialmente, oggi!».  Ma l’evangelo di Giovanni, per quanto autorevole, non è l’unica voce del Nuovo Testamento sull’argomento, e il secondo motivo per cui non è facile dare una risposta univoca alla domanda del  nostro lettore è proprio che la testimonianza biblica complessiva su questo tema non è omogenea, ci sono cioè  nella Scrittura stessa posizioni diverse al riguardo. Ecco, a grandi linee, il quadro. [a] Vi sono dei passi, come la  parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (Luca 16, 19-31) e la parola di Gesù a uno dei due «ladroni » sulla  croce (Luca 23, 43), che sembrano indicare che il destino ultraterreno delle persone viene deciso subito dopo la morte: il ricco che non ha neppure visto Lazzaro, e quindi non lo ha soccorso, va direttamente in un luogo di tormento;  Lazzaro e il «ladrone» pentito vanno in un luogo di pace e di gioia. Secondo questi passi (e altri che vanno nella stessa  direzione: Luca 16, 9; Filippesi 1, 23; II Corinzi 5, 8; Apocalisse 6, 9; 7, 9-17; 14, 3) un giudizio (non è chiaro se  provvisorio o definitivo) ha luogo subito dopo la morte, come pensa il nostro lettore. [b] Ci sono però altri passi in cui si  afferma che i morti «nel Signore», cioè i credenti che  muoiono, in realtà «dormono» (Matteo 9, 24; Giovanni 11, 11;  I Corinzi 11, 30; I Tessalonicesi  4, 13; 5, 10). Questo verbo è probabilmente un eufemismo per addolcire la pillola  amara della morte. Ma può anche esprimere la convinzione dei primi cristiani che la morte, essendo stata vinta, anzi  «distrutta» (II Timoteo 1, 10) da Cristo, non può più separare i credenti dalla comunione con il Risorto, nel quale i  morti non sono morti (in Cristo non c’è posto per la morte), ma «vivono», anzi «vivono tutti » (Luca 20, 38), sia pure  nella condizione particolare di una specie di sonno, in attesa della risurrezione. Secondo questa visione, quando una  persona muore, non è giudicata, ma «dorme » fino al risveglio dell’ultimo giorno, «al suono dell’ultima tromba» (I  Corinzi 15, 52). Tra la morte della persona e il giudizio c’è un intervallo, se così si può dire, caratterizzato come  «sonno» in Cristo. Dopo di che verrà la fine e, con essa, il giudizio. [c] Molti passi del Nuovo Testamento parlano  di  questo giudizio, descrivendolo come finale e universale. Esso avrà come protagonista Dio (Matteo 18, 35; Romani 14,  10; I Pietro 1, 17; ecc.) oppure Gesù Cristo (Matteo 3, 11-12; 7, 22-23; 13, 41-43; 16, 27; 25, 31-46; Giovanni 5, 22;  Romani 2, 16; ecc.). Secondo alcuni testi vi svolgeranno un ruolo anche gli angeli (Marco 8, 38; II Tessalonicesi 1, 7) e  gli stessi credenti (I Corinzi 6, 2.3). Il «giorno del giudizio» (Matteo 10, 15; 12, 36; II Pietro 2, 9; I Giovanni 4, 17;  ecc.) e il «giorno del Signore » (I Corinzi 1, 8; I Tessalonicesi 5, 2; Ebrei 10, 25; ecc.) sono la stessa cosa. Sarà un  giudizio universale («Tutte le genti saranno riunite davanti a lui [cioè al Figlio dell’uomo]» Matteo 25, 32) e  individuale («Noi tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò  che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male» II Corinzi 5, 10). Secondo questi passi, e molti altri che  potrebbero essere citati, il giudizio decisivo che Dio pronuncia sulla nostra vita è appunto quello finale, che si svolgerà  al ritorno di Cristo. Ma su che base saremo giudicati? Il criterio fondamentale del giudizio resta la volontà di Dio: «Non  chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà  del Padre mio che è nei cieli»  (Matteo 7, 21). E qual è questa volontà? È che l’uomo pratichi la giustizia, ami la misericordia e cammini umilmente con Dio (Michea 6, 8) e «in qualunque nazione chi teme Dio e opera giustamente gli è gradito»(Atti 10, 35). Ed è che  l’uomo creda in Gesù: «Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna»(Giovanni 6, 40). In sintesi potremmo  dire, con l’apostolo Paolo, che il criterio del giudizio di Dio sulla nostra vita è «la fede operante per mezzo dell’amore» (Galati 5, 6), essendo però ben  consapevoli che né la nostra fede, per quanto sincera, né il nostro amore, per quanto zelante, ci giustificano davanti a Dio, ma solo la sua libera grazia, manifestata nel dono del Figlio e nel perdono della croce. Da quanto precede risulta  che l’opinione del nostro lettore secondo la quale «ogni persona nel momento della morte si troverà davanti a Dio e  verrà da lui giudicato secondo il comportamento avuto durante la sua vita» è senz’altro presente nel Nuovo  Testamento, e quindi fa parte della fede delle prime comunità cristiane, ma – mi sembra – in posizione minoritaria. La  maggior parte dei primi cristiani sembrano aver optato piuttosto per l’idea che saremo giudicati alla fine, quando  Gesù ritornerà, mentre l’evangelo di Giovanni insiste sul giudizio finale qui e ora, davanti alla rivelazione di Gesù e alla  sua Parola. È vero, come dice il nostro lettore, che «ogni persona nel momento della morte si ritroverà davanti a  Dio», ma anche in vita ci troviamo sempre davanti a Dio e la fede non è altro che questo: vivere davanti a Dio, in vita e in morte. «Dove fuggirò dalla tua presenza? Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti quivi»  (Salmo 139, 8). Non è che da morti siamo davanti a Dio più di quanto lo siamo da vivi.  Che cosa possiamo dire in conclusione? Possiamo dire alcune cose. [1] La prima è che la Bibbia unanimemente, Antico  e Nuovo Testamento, afferma la realtà del giudizio di Dio, attuale e finale, sul mondo, sull’umanità e su ogni singola persona. Questo è un punto fermo della fede cristiana. [2] Sui tempi e sui modi in cui questo giudizio è esercitato, ora e  alla fine, ci sono nella Bibbia pareri diversi, che non si escludono necessariamente, ma che sono effettivamente diversi. Questo non ci deve stupire, anzi è logico che sia così, perché si tratta di esperienze fuori della nostra attuale  portata. [3] Detto questo, importa soffermarsi non tanto sulle modalità del giudizio quanto sul suo significato, che è  triplice. In primo luogo il giudizio finale mette in luce il fatto che l’ultima parola sulla vita dell’uomo e del mondo spetta  a Dio, che anche così si rivela come il Signore di tutto e di tutti, e a Gesù che è l’alfa e l’omega, il principio e la  fine di tutta la storia e di ogni storia individuale. In secondo luogo il giudizio finale attesta che dobbiamo rendere conto  a Dio della vita che ci ha donato, della volontà che ci ha rivelato, della Parola che ci ha rivolta, della grazia che ci ha  comunicato. Siamo responsabili della nostra vita, come lo siamo del nostro prossimo e del nostro mondo. Nella misura  in cui siamo credenti, siamo responsabili della fede che professiamo, dell’amore di cui siamo debitori, della speranza che l’evangelo ha acceso in noi, della chiesa di cui siamo membri e della comunità civile nella quale Dio ci ha posti.  Essere responsabili significa sapere di dover rispondere: dovremo rispondere a Dio di ciò che abbiamo fatto, o non  abbiamo fatto, di tutte queste cose. Nulla della vita di ognuno cade nel nulla, tranne ciò che Dio stesso ha voluto  dimenticare (Isaia 43, 25). In terzo luogo il giudizio finale segnala che c’è una giustizia divina rivelata nella sacra Scrittura e specialmente nella croce di Cristo: le opere malvagie saranno svelate e riprovate, gli empi spariranno, le  vittime saranno risarcite, Dio giudicherà il mondo (e la chiesa!) con rettitudine. Il trono della giustizia sarà però anche  il trono della grazia, e se Dio avrà pietà dell’uomo – di ogni uomo – egli sarà salvo ed entrerà nella vita, ma «come  attraverso il fuoco » (I Corinzi 3, 15).   Paolo Ricca - da 'Riforma' del 24 feb 2012 -   www.chiesavaldesetrapani.com