Il parallelo, però, calza solo in apparenza. Tanto per cominciare, per la Bibbia il lavoro non è una schiavitù da cui essere liberati. Se la storia, poi, dovesse ripetersi, allora sarà solo la nuova generazione a giungere all’agognata meta dopo un lungo peregrinare: adesso il paragone suona proprio di cattivo auspicio. Si tratta di capire, infine, se per questi profughi il ministro Fornero sia un nuovo Mosè o, piuttosto, un Giosuè. Nel primo caso i quarant’anni che li aspettano saranno davvero lunghi. Nel secondo, magari hanno qualche speranza di giungere in tempi ragionevoli alla terra promessa della pensione. E poi, se proprio vogliamo essere precisi fino in fondo, nel deserto furono gli esodati a tradire il patto, non il contrario.
Soprattutto, però, richiamare la vicenda biblica in questo contesto è improprio, perché l’esodo dall’Egitto portò il popolo dalla schiavitù alla libertà, e non il contrario. Questi giorni di Pasqua ci hanno ricordato anche che il «nuovo esodo», quello del credente dalla vecchia vita sottomessa al peccato e alla morte, è nelle sicure e fedeli mani del Signore: in Cristo abbiamo la garanzia che il patto non sarà mai modificato, almeno da parte sua. «Esodati» dalla vecchia signoria del peccato, noi marciamo verso la terra promessa che, per fede, sappiamo già essere nostra. L’esodo in Cristo ci porta libertà e vita nuova, non le false promesse e le illusioni del mondo.
Con questa certezza nel cuore, possiamo augurare agli esodati dal lavoro che la loro permanenza nel deserto sia breve e possano presto ottenere quanto auspicano. Nel frattempo, la ministra può ritenersi fortunata: in fondo, nel deserto del Sinai, e in ben altri tempi, Mosè dovette gestire un numero di esodati grande almeno il doppio! (Numeri 1, 46).
past. Eric Noffke
(articolo tratto da 'Riforma', settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi)