«L’autorità ecclesiastica, incapace di contrastare i dissidenti sulla base degli argomenti e delle idee, per custodire la dottrina si è affidata per secoli alla violenza (…) Di qui sono scaturite una fede e una spiritualità all’insegna della forza e del principio d’autorità, un modo di essere e di pensare che fa dell’ossequio verso l’autorità il dogma primordiale (…) [dove] ben più della vita concreta e dei suoi frutti conta la professione
esteriore di obbedienza (…) Il potere in genere non sopporta le contraddizioni. Ama la linearità, le righe dritte, l’ordine (…) Se qualcuno si permette di pensare diversamente (…)
anathema sit [sia anatema]. La meta a cui mira il potere non è la luce sempre eccedente della verità, ma la sua stabilità. Il potere non ama le contraddizioni, ha bisogno di argomenti solidi e inconfutabili su cui costruire nelle menti la certezza di obbedire e riverire»
[Tratto da: Vito Mancuso,
Obbedienza e libertà, pp. 21-33]
La cara Federica, dal canto suo, mostra estremo equilibrio nel trattare una questione così delicata qual è quella dell’eutanasia, evitando le logiche sterili della contrapposizione ideologica e dando vita a un testo che costituisce un raro intreccio di rigore e umanità.
Anche in questo caso, intendo condividere con voi alcune righe dell’autrice che trovo particolarmente significative:
«Solo nel momento in cui la morte entra nel dominio dell’
umano, e si sottrae a quello del
divino, si può invocare il diritto [ad una morte dignitosa] (…) In Olanda ci si è trovati così di fronte a un movimento dal basso che ha permesso (…) di riconoscere [questo diritto] e, in quanto tale, la possibilità di tutelarlo (…) Il processo di emancipazione culturale dell’Olanda (…) si fonda sul riconoscimento delle libertà individuali (…), sulla presa di coscienza della disponibilità della vita da parte del soggetto»
[Federica Verga Marfisi,
Sospesi, pp. 114-117]
La sensazione, di fronte a creazioni artistiche come le tre che ho citate, è quella di chi torna respirare dopo una lunga percezione di soffocamento, di costrizione, di apnea forzata. Inutile dire che, alla base di questo affaticamento dovuto alla repressione del libero pensiero, stanno, più di ogni altro soggetto, le istituzioni ecclesiastiche e le loro teologie granitiche. Ora, prendersela con le gerarchie vaticane e con la Congregazione per la Dottrina della fede, in tutta onestà, è un po’ come sparare sulla croce rossa.
Esprimere una presa di distanza radicale e motivata circa le esternazioni e d i provvedimenti di un’inquisizione che ha cambiato nome, metodi e sanzioni, ma non certo struttura di pensiero, è certamente auspicabile, persino doveroso: molte e molti, infatti, sono le teologhe ed i religiosi che ancora oggi incorrono nelle condanne comminate da un’istituzione illiberale ed anacronistica ed è opportuno associarsi all’indignazione e al dissenso che per fortuna queste pratiche suscitano nel cattolicesimo progressista.
Ma la riflessione che spetta a noi è un’altra e riguarda le rigidità riscontrabili nel fondamentalismo e nell’ultra-ortodossia protestanti che, a quanto è dato di osservare, godono di ottima salute. Anche in questo caso, come ci insegnano le righe pacate ed intelligenti di Federica, l’atteggiamento da assumere non è quello del muro contro muro, dal quale nessun dialogo può sperare di prendere le mosse e maturare: lo scopo, piuttosto, come ci ricorda Mancuso nel sottotitolo del suo libro, è quello di promuovere la «critica e il rinnovamento della coscienza cristiana». Ogni rinnovamento autentico, infatti, nasce dalla critica misurata e costruttiva a ciò che, ad un’osservazione attenta, non può più rappresentare una via percorribile nell’attuale società multi-culturale, dove il confronto con l’atro che, se viene fatto autenticamente, ci
altera, non è appena il vezzo di alcuni teologi progressisti, ma una necessità urgente e non più rinviabile. Una fede adulta, difatti, si misura dalla sua capacità di critica e, soprattutto, di auto-critica, rivolta a quegli aspetti del credere che la contemporaneità obbliga a riconsiderare ed impedisce di riproporre in maniera ottusamente invariata.
Di atteggiamento critico ci parla anche Gesù in queste parole brevi ed incisive che abbiamo ascoltate e che l’evangelo secondo Luca mette sulle sue labbra:
critica, infatti, è parola che viene da
krinein, propriamente «giudicare, considerare, vagliare». Gesù invita esplicitamente quanti lo ascoltano a sviluppare una capacità di giudizio autonoma, che si rifiuti di lasciarsi determinare dai reiterati appelli all’obbedienza cieca che immancabilmente ci vengono rivolti dai solerti custodi della rivelazione. Che questi ultimi siano rappresentati dal magistero cattolico o dalla presunta indefettibilità del testo biblico, poco importa: l’invito di Gesù è quello di crescere come soggetti autonomi, insofferenti alle imposizioni dogmatiche, liberi di indagare la fede e la vita da cui essa nasce senza chiedere, per questo, alcuna “licenza de li superiori”, come si esprime Dante.
Al discepolo e alla discepola che vogliano procedere nella ricerca costante di una fede adulta e, come la vita, in perenne trasformazione, Gesù indica la via dell’autonomia di giudizio, che fa delle donne e degli uomini, della loro piena umanità, l’unico, flessibile, criterio di verità insopprimibile. I custodi della tradizione non tarderanno a manifestare il loro scandalo, ad accusare di eresia quante e quanti percorrono questo sentiero di libertà: del resto, è proprio quanto avvenne allo stesso Gesù, la cui profonda libertà fu interpretata come arrogante irriverenza da quanti difendevano l’immagine di un Dio, come loro, inflessibile. L’invito che Gesù ha continuato a rivolgere durante tutta la sua vita è quello di emanciparsi da una logica autoritaria nell’ambito della fede, e non gli fu perdonato dai sommi sacerdoti del tempio di Gerusalemme.
E ancora oggi il suo appello all’insubordinazione scuote le ferree logiche degli integralismi e il legalismo intransigente delle ortodossie. Ce lo ricorda con la sua acuta intelligenza il teologo della liberazione uruguayano Juan Luis Segundo, anch’egli vittima della repressione istituzionale del dissenso, che coglie in questo appello alla libertà di giudizio secondo coscienza il senso più profondo dell’evangelo annunciato da Gesù:
«Chi si dirige alla legge persuaso del fatto che accumularne la conoscenza e copiarne le prescrizioni significhi onorare ciò che Dio ha nel Suo cuore, non la comprenderà mai. Nel suo significato autentico, infatti, la legge non è destinata ad essere
posseduta come un privilegio, ma a diventare responsabilità, liberamente assunta, di collaborare alla piena umanizzazione dell’uomo (…)
La legge non è data per provare la scrupolosa e servile obbedienza dell’uomo [il quale, infatti, è chiamato a rispondere alla domanda]: “Che cosa devo fare?”
prima di consultare la legge»
[Tratto da: Juan Luis Segundo,
la historia perdida y recuperada de Jesús de Nazaret, Sal Terrae, Santander, 1991, pp. 216-220 -traduzione mia - ]
Domenica 6 Maggio 2012 – Pastore
Alessandro Esposito - www.chiesavaldesetrapani.com
[1] Federica Verga Marfisi, Sospesi. Una lettura antropologica dell’eutanasia, Fondazione Ariodante Fabretti, Torino, 2011
[2] Vito Mancuso, Obbedienza e libertà. Critica e rinnovamento della coscienza cristiana, Fazi Editore, Roma, 2012
[3] Marco Paolini, ITIS Galilei, rappresentato al teatro di Ponchielli di Cremona il giorno 11 di gennaio del 2011