E’ una delle più frequenti patologie della mano ma il 75% degli italiani non ne ha mai sentito parlare, il 13% della popolazione europea ne è colpita, nel 45% dei casi interessa entrambe le mani.
Sebbene fosse già presente da secoli in Europa, questa malattia non ha avuto un nome fino al 1834 quando il chirurgo francese Guillaume Dupuytren, per primo, la identificò correttamente nel proprio cocchiere intervenendo chirurgicamente. I risultati delle sue ricerche sono raccolti nel Museo di Patologia Anatomica nel classico fondamento accademico alla École-de-Médecine accanto alla Sorbona.
La malattia di Dupuytren colpisce in prevalenza il sesso maschile (in rapporto di 10 a 1 rispetto alle donne) e prevede diversi livelli di gravità che rendono difficile compiere le più comuni azioni quotidiane. In Italia la prevalenza è stimata nel 25% degli over 50 di sesso maschile e il 25% dei pazienti evolve verso forme severe che compromettono il normale svolgimento delle attività quotidiane e del lavoro. Si pensi infatti alle migliaia di movimenti che compiamo ogni giorno, dal vestirsi o afferrare qualcosa o mettere una mano in tasca fino al gesto più comune di stringere una mano. La contrattura di Dupuytren si manifesta con una riduzione dell’estensione delle dita che risultano ‘tirate’ progressivamente verso il palmo della mano.
“Si tratta di una patologia a carico dell’aponeurosi palmare. Cos’è l’aponeurosi palmare? È una membrana che si trova tra la cute e i piani profondi. Se avessimo sul palmo della mano la stessa cute mobile che è presente a livello del dorso, gli oggetti scivolerebbero via come saponette.
Nei pazienti che hanno la predisposizione genetica a questa malattia, la deposizione di collagene è sbilanciata rispetto al riassorbimento e questa membrana esagera nella sua funzione, quindi ‘tiene’ troppo. Clinicamente questo ‘tenere troppo’ si manifesta all’inizio con dei banali noduli nel palmo della mano che il paziente può scambiare per callosità. Gradualmente, dato che l’aponeurosi interessa tutto il palmo e quindi prosegue lungo le dita, le articolazioni del dito colpito si piegano; dapprima la metacarpo-falangea, cioè la base del dito, e progressivamente anche le articolazioni che stanno a metà del dito”, spiega il Prof. Giorgio Pajardi, Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Plastica dell’Università degli Studi di Milano, U.O.C. di Chirurgia della Mano IRCCS MultiMedica – Ospedale San Giuseppe di Milano e Presidente della Società Italiana di Chirurgia della Mano.
Nonostante la diagnosi sia piuttosto semplice, i pazienti aspettano mediamente cinque anni prima di rivolgersi a un medico: “Esiste un test molto semplice, quello che in inglese si chiama table top test, cioè il momento in cui la mano che ha evidenziato i nodi palmari non riesce più ad essere appoggiata, completamente distesa, su una superficie liscia. Nel momento in cui rimane dello spazio, si dichiara iniziata la fase in cui è appropriata la chirurgia – chiarisce il Prof. Massimo Ceruso, Direttore della S.O.D. di Chirurgia e Microchirurgia della Mano dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria Careggi di Firenze – Come sempre in medicina, è bene operare le persone nel momento giusto: c’è una fase “aurea” in cui è più appropriato operare, nella quale è possibile ridurre i fastidi funzionali derivanti dall’angolo imposto alle dita dalla malattia, prevenendo la rigidità che si determina se la deformità si è instaurata da molto tempo”, conclude il Prof. Massimo Ceruso.
Sebbene sia conosciuta da quasi due secoli, la sua eziologia non è ancora chiara: sono noti fattori aggravanti come diabete, problemi metabolici e interazioni farmacologiche. È comunque dimostrata una predisposizione genetica alla malattia con una predominanza nel sesso maschile; la frequenza di casi nei quali almeno un parente presenta lo stesso disturbo è del 70%.
“La malattia di Dupuytren non è una patologia dell’età anziana – puntualizza il Prof. Massimo Ceruso – Sicuramente quanto più si è giovani, tanto più è probabile che il Dupuytren evolva in maniera grave, se non trattato, e interessi più dita; può inoltre ricomparire estendendosi ad un altro dito o a porzioni prima non colpite dello stesso dito, data la complessità dei sistemi fibrosi che formano l’aponeurosi”.
“Ad oggi l’esito dell’intervento è direttamente correlato al punto di partenza, nel senso che non è una malattia grave ma può essere curata bene se si è in buone mani chirurgiche: l’intervento è molto complesso dato che bisogna smontare l’anatomia della mano, che quindi deve essere conosciuta molto bene. Spesso l’intervento spaventa il paziente e si finisce per operare in una fase troppo grave e a quel punto la limitatezza del risultato è legata all’avanzamento della patologia. Grazie ai trattamenti farmacologici innovativi, che saranno disponibili entro quest’anno, contiamo di registrare un miglioramento generale della prognosi – auspica il Prof. Giorgio Pajardi – in quanto i pazienti, a fronte della possibilità di un trattamento ‘mini-invasivo’ e dunque psicologicamente più accettabile, potranno essere indotti a rivolgersi prima allo specialista e sfruttare una valida alternativa all’intervento chirurgico” .
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