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22/06/2012 07:23:08

L'“apostasia silenziosa” dei cattolici

La situazione non è nuova. Prima di Benedetto XVI, Paolo VI fin dal 1975, e Giovanni Paolo II nel 1983, in particolare, avevano preso atto delle trasformazioni sociali e culturali “che modificano profondamente la percezione che l'uomo ha di sé e del mondo, e che comportano delle conseguenze sul suo modo di credere in Dio”, come riassume il papa attuale. Sulla scia del Concilio Vaticano II, tutti hanno sottolineato la necessità di rilanciare la “missione evangelizzatrice della Chiesa”, in particolare nei paesi di antica evangelizzazione. Tra gli elementi che rendono difficilmente ascoltabile il messaggio della Chiesa, i vescovi distinguono quelli che derivano dal contesto esteriore: “consumismo, edonismo, nichilismo culturale, chiusura alla trascendenza”, “i nuovi idoli” (secondo la Chiesa “la scienza e la tecnologia”), e quelli che sono propri dell'istituzione.
Si parla, ad esempio, di “una burocratizzazione eccessiva delle strutture ecclesiastiche”, delle “celebrazioni liturgiche formali”, dei riti ripetitivi. Più globalmente, al centro delle riflessioni dei vescovi, dovrebbe esserci il fallimento, sentito da alcuni, da parte della Chiesa “a dare una risposta adeguata e convincente alle sfide” economiche, politiche o religiose del momento. Molti, in varie parti del mondo, deplorano anche “l'insufficienza numerica del clero” per lo svolgimento delle missioni della Chiesa e fanno notare il rischio di restare invischiati in problemi di gestione. Pare loro quindi necessaria una migliore integrazione dei laici. Secondo il Vaticano, “la fede passiva” o “tiepida” di certi credenti spiega anche la difficile trasmissione del messaggio evangelico. Il testo vuole tuttavia sottolineare i vantaggi che la Chiesa può trarre dal contesto attuale. La globalizzazione, la secolarizzazione, il confronto con altre credenze, in particolare con l'islam, obbligano i cristiani “a purificare la loro fede e a farla maturare”, ritengono i vescovi. Sono comunque contenti dell'emergere di nuove comunità cristiane e carismatiche, specificamente rivolte all'evangelizzazione. Quanto alle risposte, sono per lo più di ordine spirituale. Per il Vaticano, l'ecumenismo deve permettere ai cristiani di manifestare un messaggio evangelico comune, mentre il dialogo interreligioso deve spingerli ad una migliore comprensione della loro fede. I cattolici devono anche interrogare “la qualità della loro vita di fede” e avere “il coraggio di denunciare le infedeltà e gli scandali che esistono nelle comunità cristiane”. Perché, in fondo, la nuova evangelizzazione passa innanzitutto attraverso la testimonianza di una vita cristiana che per certe persone e in certi luoghi può arrivare fino alla “santità” o addirittura al “martirio”. “È il martirio che dà ai testimoni la loro credibilità”, assicura il testo, che ricorda tuttavia che lo sforzo dei credenti deve riguardare “la carità, una vita sobria, l'aiuto ai poveri, l'attuazione della dottrina sociale della Chiesa o il servizio della Chiesa a favore della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Per quanto riguarda la forma, i responsabili cattolici ammettono che occorre rinnovare le modalità dell'annuncio del Vangelo: “L'Europa oggi non deve puramente e semplicemente fare riferimento alla sua eredità cristiana anteriore.” Le nuove tecnologie devono essere sfruttate evitando le derive; si parla anche dei pellegrinaggi, della valorizzazione dei santuari, della promozione delle Giornate mondiali della gioventù. Ma “l'urgenza” sta proprio nell'attuazione di “uno stile più missionario” di comunità cristiane, sicure della loro fede e chiamate ad andare incontro a non credenti e a credenti “tiepidi”. Evitando ogni “proselitismo aggressivo”.

Stéphanie Le Bars
in “Le Monde” del 22 giugno 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)