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13/10/2012 08:50:29

Dal Vaticano II al Vaticano III

Papa Giovanni XXIII aveva convocato il concilio nel gennaio 1959, tre mesi dopo la sua elezione, tra la sorpresa generale. Diplomatico mediocre, eletto ad età avanzata (77 anni), ritenuto “papa di transizione”, Angelo Roncalli, di fatto, sconvolge la sua Chiesa. Il concilio, per lui, deve essere un “aggiornamento”, deve rompere con secoli di “condanne”, discernere i “segni dei tempi”, spalancare le “finestre” dell'istituzione, riconciliarla con il XX secolo.
La sua morte, nel 1963, gli impedisce di portare a compimento la sua opera, ma il suo successore, Paolo VI, la riprenderà e la porterà a termine, a costo di una lotta accanita con la minoranza conservatrice di Marcel Lefebvre, “padre” dello scisma integralista che, cinquant'anni dopo, prosegue il suo tentativo di minare alla base quel salutare concilio.

ecumenismo
Uno dei punti di maggiore contrasto riguarda la libertà religiosa. La Chiesa che, da 2000 anni, ripete che al di fuori di essa non c'è salvezza, si dispone a rinunciare al monopolio assoluto della Verità, a riconoscere il primato della coscienza, ad entrare in dialogo con le altre religioni, non solo con le confessioni cristiane separate, ma anche con gli ebrei, i musulmani, gli induisti, i buddisti, ecc. Mons. Lefebvre dirà che con la libertà religiosa, “il verme è nel frutto”. Se la Chiesa cattolica non ha più il monopolio della Verità, la porta è aperta al “relativismo” (tutte le religioni si equivalgono), al “soggettivismo”, al detestato ecumenismo.
Rompendo con secoli di intolleranza, il Concilio Vaticano II adotta, nel 1965, una dichiarazione (“Dignitatis humanae”) che afferma per ogni uomo il diritto alla libertà di religione e di credenza, poi un altro testo (“Nostra Aetate”) che riconosce nelle altre confessioni delle “parti di verità”, mettendo fine agli stereotipi offensivi per gli ebrei (“popolo deicida”), ritenendo che l'antisemitismo non aveva più alcuna giustificazione teologica.
Due millenni di antigiudaismo cristiano sono così stati archiviati. Per i cattolici, il dialogo ecumenico con i “fratelli cristiani” separati (protestanti, ortodossi), con le religioni non cristiane e con i non credenti è veramente cominciato grazie al Vaticano II, mezzo secolo fa. Il Concilio adotta altre riforme capitali. Ridà importanza allo studio della Bibbia, lasciato ai protestanti a partire dalla Riforma. Rinnova la liturgia con il superamento della tonaca per i preti e l'adozione delle lingue moderne invece del latino. Cambia il modo di governo della Chiesa, tollerando maggiore “collegialità”, dando più autonomia ai livelli locali rispetto a Roma, e maggiore responsabilità ai laici (cioè i fedeli che non fanno parte del clero). Invita i cristiani, in un altro testo rimasto celebre (“Gaudium et Spes”), a non condannare più il mondo moderno, a cambiare lo sguardo su tale mondo, ad aprirsi al progresso delle scienze e delle tecniche, alle lotte per la giustizia sociale e per i diritti umani, ad impegnarsi negli ambiti sociali e politici.
duecento anni di ritardo
Una Chiesa più militante a servizio dell'uomo povero, più accogliente nei confronti delle trasformazioni del mondo, aperta alla libertà di coscienza e alle altre confessioni, meno arrogante e più impegnata nel suo tempo: senza il Vaticano II, non sarebbe quella che è oggi. Ma è aperto e acceso il dibattito per sapere se la Chiesa, da allora, non abbia tradito lo spirito del concilio di cinquant'anni fa, se non sia tentata dal ripiegamento su se stessa e sul ritorno indietro, se non sia ora di regolare i conti, di riprendere le questioni tabù allora messe da parte, o addirittura di immaginare un nuovo concilio – Vaticano III - per esplorare tutte le nuove questioni poste all'umanità in questi cinque decenni.
Ex arcivescovo di Milano, il prestigioso cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, “capofila” dei progressisti, morto il 31 agosto, ha rilasciato al Corriere della Sera un'intervista (resa pubblica dopo la sua morte) dal sapore amaro molto forte, nella quale scrive: “La Chiesa è in ritardo di 200 anni (…) La Chiesa è stanca. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita”.
Certo, è ingiusto e sbrigativo affermare che la Chiesa è andata indietro – cosa che non dice il cardinal Martini. Per riportare l'unità nelle sue fila, papa Benedetto XVI ha certo portato avanti degli incontri con i cattolici integralisti, eredi di Mons. Lefebvre e della minoranza reazionaria del concilio. Ma l'accordo si scontra proprio sui dati acquisiti del Vaticano II. Gli integralisti rifiutano di allinearsi a questo concilio modernitsta che, a sentir loro, è responsabile di tutti i mali e di tutte le crisi da cinquant'anni.
Vogliono mantenere il diritto di criticare gli orientamenti presi allora, fondamentali come la libertà per ogni uomo di scegliere la propria religione, l'apertura del dialogo alle altre religioni – che gli integralisti continuano a definire “false religioni” - l'adozione di una liturgia più contemporanea, la simpatia per un mondo moderno considerato da loro come “satanico”.
affrontare i temi che bloccano, a suo tempo ritirati dal Vaticano II
Vi è una serie di punti giudicati “non negoziabili” da Benedetto XVI, erede di quel concilio a cui ha partecipato come teologo, progressista all'epoca, e sui quali non cederà. Rimane il fatto che i cattolici detti “conciliari” sono scoraggiati dagli inviti fatti agli integralisti, dai ripiegamenti timorosi che constatano nella dottrina, nel dogma, nella liturgia, nella disciplina, dal centralismo romano che riprende più che mai e dalla mancanza di discussione interna, dalla lentezza del movimento di riavvicinamento ecumenico, dall'immobilismo delle posizioni sulla sessualità dopo la proibizione della contraccezione nell'enciclica Humanae Vitae del 1968, la proibizione della procreazione medicalmente assistita e del matrimonio omosessuale. Il celibato obbligatorio dei preti, lo status di inferiorità della donna e quello delle coppie di divorziati risposati, esclusi dai sacramenti, sono vissuti con sempre maggiore disagio e contestati.
Anche la richiesta di un nuovo concilio, negli ambienti progressisti, ritorna regolarmente. È nuovamente stata esplicitata nell'ottimo libro della teologa Christine Pedotti (“Faut-il faire Vatican III?”, ed. Tallandier), che riassume tutti gli argomenti a favore di una nuova concertazione, universale e decisiva, ai vertici della Chiesa.
Certi temi che bloccavano, come il celibato obbligatorio dei preti o la contraccezione, erano stati ritirati d'autorità dall'ordine del giorno del Vaticano II. Oggi è ora di affrontarli, come le altre questioni urgenti in cui si gioca la credibilità dell'istituzione: una decentralizzazione reale del potere del papa, maggiori responsabilità alle donne, un discorso più aperto e più positivo sulla sessualità e sui divorziati.
Si tratterebbe anche di affrontare tutti i nuovi problemi sollevati da cinquant'anni dal progresso scientifico e medico, dalla conoscenza biologica dell'umano, dalla parità uomo-donna, dalla globalizzazione, dalla ripartizione delle ricchezze, dagli equilibri ecologici. Sono tutti temi che meritano di essere esaminati, non attraverso testi solitari del papa, redatti da consiglieri nel segreto del Vaticano, ma attraverso una riflessione collettiva ed esigente come quella che i “Padri conciliari” hanno avuto il coraggio di condurre su altri fronti mezzo secolo fa. Già alla fine del Concilio Vaticano II nel 1965, il grande teologo francese Yves Congar, che ne era stato uno dei principali animatori, aveva esclamato: “L'opera realizzata è fantastica, ma c'è ancora tutto da fare!”

Henri Tincq in “www.slate.fr” del 10 ottobre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)