La situazione era destinata a mutare radicalmente nell’epoca costantiniana. Da quel momento in poi fu la storia del mondo a dover fornire la prova della vittoria del cristianesimo. La svolta comportava una tangibile constatazione dell’umiliazione degli empi e del benessere proprio. I bersagli divennero principalmente due: i pagani e gli ebrei. Accanto all’atterramento dei culti pagani, occorreva, infatti, mostrare l’umiliazione degli ebrei. Tuttavia gli dei falsi e bugiardi dovevano essere eliminati, mentre il Dio d’Israele andava mantenuto. Il popolo ebraico nella sua sconfitta storica divenne allora prova della verità cristiana. In questa prospettiva un peso enorme fu attribuito alla fine del culto ebraico. Nel IV secolo venivano abbattuti i templi pagani, ma quello di Gerusalemme dedicato al Dio unico e vero era stato raso al suolo già nel 70 d. C. La sua distruzione ebbe luogo, si sostenne, perché lo aveva predetto Gesù. Un simile convincimento spiega il motivo per cui un imperatore colto come Giuliano pensò, per rilegittimare l’antica religione politeista, di riedificare il luogo di culto situato sulla collina di Sion. Ma l’impresa, effettivamente iniziata, non fu mai portata a termine. Ciò si ripercosse sulla visione propria dei cristiani i quali divennero ormai del tutto convinti che la storia desse loro definitivamente ragione. In questo contesto, il fallimento del tentativo di Giuliano di ricostruire il tempio di Gerusalemme fu assunto come prova inconfutabile che Gesù Cristo era Figlio di Dio. La predizione si era rivelata più potente degli sforzi umani, poiché – come disse Giovanni Crisostomo - Gesù con la sua parola sconfisse, oltre che l’imperatore Giuliano, «tutto il popolo ebraico» (Giovanni Crisostomo “Omelie contro gli ebrei”).
La storia era divenuta cristiana. Come sempre si pone in rilievo, i cristiani da perseguitati si tramutarono in persecutori. È vero; c’è però dell’altro. Vale a dire che chi cerca conferme della propria verità nella storia si espone, per ciò stesso, a essere smentito da quest’ultima. Un cristianesimo che affida alla vittoria storica la conferma pubblica della sua verità è, in realtà, debole perché insidiato dal rischio di venire confutato. Non dovette passare moltissimo tempo, infatti, perché ciò si verificasse. La smentita venne dalla nascita e dalla fulminea espansione dell’islam. Quattro secoli dopo Costantino, le terre in cui nacque il cristianesimo si trovavano tutte sotto dominio musulmano; i cristiani restati in quelle zone da allora in poi vissero come minoranze. Di fronte a questi fatti, chi non volle rinunciare a una concezione imperiale del cristianesimo, considerò le terre ancora rimaste cristiane sottoposte a una specie di assedio. Com’è noto, fu lo spirito di crociata a divenire la risposta a questa situazione. Da allora fino a oggi, per un cristianesimo che cerca nella storia la propria conferma è sempre difficile fare i conti con l’islam.
Al di là delle differenze, la stessa sensazione e la stessa modalità di risposta si ebbero da una parte consistente del cristianesimo quando ci si dovette confrontare con il mondo moderno. In Occidente la laicizzazione della società e della cultura suscitò in molti cristiani la convinzione di essere assediati. Il fenomeno provocò, da un lato, un atteggiamento di arroccamento e, dall’altro, alimentò la volontà di riconquistare la propria posizione all’interno della società, una società ritenuta ormai complessivamente estranea se non proprio ostile.
Con il Vaticano II, la Chiesa cattolica ha cercato, in buona misura, di mutare strada, di imboccare la via del dialogo con il «mondo», riconoscendo la positività di alcuni valori derivati dallo spirito di laicità.
Oggi essa è, tuttavia, propensa a considerare il cristianesimo ancora sottoposto ad assedio. Questo atteggiamento non tiene conto del fatto che la situazione attuale invita, invece, i cristiani ad accettare la condizione di essere minoranza non settaria all’interno della società. È una situazione conforme a quanto è più proprio alla fede. Tuttavia per accettare ciò, occorre essere disposti a dare una testimonianza dell’evangelo che non lo presenti come una verità posta al di sopra delle altre. Una delle richieste collegate all’essere minoranza non settaria è l’accettazione sincera tanto del pluralismo religioso quanto della presenza di visioni del mondo ispirate a principi laici. All’interno di società pluraliste ogni religione è consapevole dell’esistenza di altre comunità religiose. Questo dato di fatto richiede alle singole comunità di legittimare, anche in linea di principio, l’esistenza della pluralità. Ciò implica che esse prendano le distanze da posizioni, comuni in epoche storiche precedenti e non del tutto superate neppure oggi, che rivendicavano a una singola religione il godimento di una posizione esclusiva o quanto meno egemonica all’interno della società. Quando si giudica questa rinuncia non come un’anomalia, ma come la condizione propria della vita delle comunità cristiane, si è davvero usciti da ogni nostalgia per l’«età costantiniana».
Violairis - 5 nov 2012 - da www.chiesavaldesetrapani.com