alla quale – lo confesso – non avevo mai pensato: come mai nella nostra Chiesa non esiste un «giorno» o una «festa di ringraziamento»? Questa festa – lo ricorda giustamente il nostro lettore – esiste in altre Chiese evangeliche, ed esiste, come Thanksgiving Day (= giorno di ringraziamento) negli Stati Uniti, dove non è solo una ricorrenza religiosa, ma è una festa nazionale che coinvolge l’intero popolo americano. Sembra che il primo «giorno di ringraziamento» americano risalga addirittura al 1621, quando i «padri pellegrini » approdarono sulle coste americane e, come prima cosa, ringraziarono Dio per essere giunti sani e salvi alla meta. A questo motivo originario, presto se ne aggiunsero altri: il ringraziamento per il raccolto nel tempo della messe, ma anche per la progressiva conquista dell’Ovest, spodestando (e decimando!) gli «indiani » che lo abitavano. Nel 1789 George Washington chiese e ottenne che si ringraziasse Dio per la Costituzione americana appena varata. Come si vede, nel Thanksgiving Day si intrecciano diversi motivi di gratitudine, come è anche giusto perché sono effettivamente tante le ragioni per ringraziare Dio. Resta però il fatto che nelle nostre Chiese una festa o giorno o domenica di ringraziamento non c’è. Come mai? Per rispondere a questa domanda, la scomponiamo in tre sottodomande che sono queste: (1) Perché questa festa da noi non c’è? (2) Perché ci dovrebbe essere? (3) Come potrebbe essere?
I. Perché questa festa da noi non c’è? Può non esserci per una buona ragione, ma anche per una cattiva ragione. La buona ragione può essere questa: ogni giorno per un cristiano è un Thanksgiving Day, un giorno di ringraziamento a Dio per la vita, il mondo, gli affetti, gli amici; per la luce degli occhi e la luce del sole; per il pane quotidiano e il pane dell’anima che è la Parola di Dio; per il perdono dei nostri peccati e le compassioni di Dio che «si rinnovano ogni mattina» (Lamentazioni 3, 22)¸ per la fede, la speranza, l’amore, la pazienza, il coraggio, la fedeltà e tanti, tanti altri motivi che sarebbe lungo enumerare. Secondo il Catechismo di Heidelberg (il migliore catechismo riformato del Cinquecento e uno dei migliori di tutta la storia cristiana), la gratitudine è il motore della vita cristiana: diventare cristiano è imparare a dire «Grazie» a Dio. E se davvero ogni giorno che ci è dato di vivere fosse per noi un giorno di ringraziamento a Dio, sarebbe superfluo avere poi un giorno particolare dedicato a questo stesso scopo. La ragione buona per non avere un «giorno di ringraziamento» sarebbe dunque questa: non ne abbiano uno perché ne abbiamo 365 all’anno. Ma potrebbe esserci anche una ragione cattiva per non avere questa festa, e cioè che non sappiamo o non vogliamo ringraziare, abbiamo perso il senso, la motivazione, la libertà e la gioia della gratitudine, siamo diventati avari di ringraziamenti. Tutto ci sembra più o meno dovuto, più o meno scontato. Non vediamo più o non vediamo ancora la vita e tutto ciò che essa contiene come un dono. E dove non c’è il senso del dono, manca il motivo per ringraziare. La ragione cattiva per la quale da noi non c’è la festa di ringraziamento è che abbiamo disimparato a dire «grazie!» – questa parola fondamentale nella vita cristiana, che è il pendant umano dell’altra parola fondamentale che è il contenuto dell’alleanza tra Dio e l’umanità: «grazia», la parola divina per eccellenza. Perché non c’è da noi un giorno di ringraziamento? A questa domanda del nostro lettore, non so che cosa rispondere. Potrebbe non esserci per la ragione buona, ma temo che non ci sia per la ragione cattiva.
II. Perché questa festa ci dovrebbe essere? Per mille ragioni, ma ne dico solo tre.
[a] La prima è che, anche se i singoli credenti effettivamente ringraziano Dio ogni giorno trasformando così ogni giorno in un «giorno di ringraziamento », questo resta un fatto individuale e privato, mentre il ringraziamento a Dio dev’essere anche collettivo e pubblico, diventando un’azione comunitaria della Chiesa nel suo insieme. La Chiesa è appunto anche questo: quella parte di umanità che, malgrado tutte le contraddizioni e le sofferenze che vediamo e anche viviamo, ritiene di potere e dovere dire «Grazie!» a Dio, per tante buone ragioni. E dirlo pubblicamente.
[b] La seconda ragione per la quale questa festa dovrebbe esserci è che c’è nella Bibbia in tante forme diverse, e questo significa che fa parte dell’esperienza di fede del popolo di Dio attraverso i secoli. Fin dai primordi della storia d’Israele c’è stata la consuetudine di offrire a Dio le primizie del suolo e delle greggi (l’offerta di Caino e di Abele!) in occasione delle tre grandi feste annuali, tutte legate alla semina e al raccolto (Esodo 23, 14-19): era un modo eloquente e visibile di dire «Grazie!» a Dio, confessando che la terra, con tutto ciò che contiene, non è nostra, ma sua. La preghiera con cui l’israelita presenta la sua offerta è questa: «Ecco, io reco le primizie dei frutti del suolo che tu, o Eterno, m’hai dato» (Deuteronomio 26, 10). Queste offerte e questo ringraziamento, nati nel quadro di una società e civiltà agricola, non sono per nulla fuori luogo nella nostra società e civiltà post-industriale, sono anzi attuali oggi come allora, perché oggi come allora è la terra e lei sola che ci nutre, o meglio è Dio che ci nutre attraverso la terra, come dice stupendamente il Salmo 104: «Tutti quanti sperano in te, perché tu dia loro il cibo a suo tempo. Tu lo dai loro ed essi lo raccolgono, tu apri la mano, e sono saziati di beni» (v. 27-28). Perciò mi sembra bella la prassi di portare in chiesa, in una domenica particolare, i frutti della terra e disporli intorno al tavolo della Cena del Signore: non c’è in questo nulla di pagano o di troppo materiale, al contrario è un modo per situare questi beni materiali, che sono doni di Dio e che per noi sono vitali, nello spazio della lode e del ringraziamento a Dio.
[c] Le feste sono importanti. Lo sono nella vita e altrettanto nella vita di fede. Nell’ebraismo e nel cristianesimo la vita di fede è scandita dalla celebrazione di feste, che consentono di ripercorrere le grandi tappe della storia della salvezza. Le feste cristiane autentiche (ce ne sono, ahimè, anche di spurie, e sono tante!) sono relative alla vita di Gesù: Natale, Epifania, Venerdì Santo, Pasqua, Ascensione. Nella Chiesa ortodossa occupa un posto di rilievo anche la festa della Trasfigurazione. Una sola festa cristiana è dedicata allo Spirito Santo: Pentecoste, mentre nella domenica successiva si festeggia la Trinità. Nessuna festa particolare invece è dedicata a Dio Padre, Creatore del cielo e della terra. C’è qui un evidente squilibrio, una lacuna grave, uno scompenso a cui si dovrebbe porre rimedio. Una «festa del ringraziamento» per i prodotti della terra che, generosa com’è, non produce solo il cibo di cui ci nutriamo, ma anche fiori, alberi e piante di ogni genere, potrebbe diventare la festa del creato e soprattutto del Creatore, quindi di Dio Padre, che è giusto e salutare festeggiare come tale, cioè come «fonte della vita» (Salmo 36, 9) che instancabilmente la suscita e la custodisce, perché la ama. Questa festa sarebbe anche in sintonia con la raccomandazione che da più di due decenni il Consiglio Ecumenico rivolge alle Chiese con il suo programma «Giustizia – Pace – Salvaguardia del creato». Per salvaguardare il creato non c’è forse modo migliore che approfondire la fede nel Dio creatore. Almeno per questi tre motivi ogni comunità cristiana dovrebbe includere nel suo calendario liturgico una «festa (o giorno, o domenica) di ringraziamento», legata principalmente ai prodotti della terra.
III. Come potrebbe essere? Soltanto la Chiesa nel suo insieme (nel caso nostro il Sinodo) può rispondere a questa domanda. Ci sono comunque già in molte Chiese delle liturgie apposite, che possono essere adottate, o adattate, o alle quali ci si può ispirare. Una ricchezza particolare è offerta in questo campo dalla tradizione ortodossa, grazie alla sua particolare sensibilità per la trasfigurazione del creato attraverso quella di Cristo, mentre in Occidente non si potrà ignorare il Cantico di Frate Sole di Francesco d’Assisi, che è uno stupendo inno al Creatore da parte di un creato visto e vissuto alla luce della fraternità e sororità portata da Cristo nel mondo. L’accento dovrebbe essere posto, come avviene in tanti Salmi (si pensi al Salmo 19, 1-6 e al Salmo 104), sullo stupore per il miracolo del creato e, in esso, della vita, resa possibile sul nostro pianeta dal ciclo delle stagioni e soprattutto dalla fedeltà della terra, che non ci tradisce e non si stanca di accogliere il seme del seminatore e moltiplicarlo «qual trenta, qual sessanta e qual cento» (Marco 4, 8). Ma la gratitudine dovrà abbracciare anche gli animali (quanto sarebbero vuoti il cielo e la terra senza di loro!) e in generale tutto ciò che vive, come dice il Salmo 150: «Ogni cosa che respira lodi l’Eterno. Alleluia» (v. 6). L’obbiettivo di questo «giorno di ringraziamento» è proprio questo: dare voce al respiro del creato a lode e gloria di Dio.
Paolo Ricca - da 'Riforma' n. 43 del 9 nove. 2012 -
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