Parte da un convento della provincia siciliana si incunea nei labirinti dello Ior e arriva alla soglia delle sacre stanze Vaticane. E’ la storia di un inganno che finisce per tirare in ballo cinque cardinali, cinque nomi di peso nel conclave che si sta aprendo in queste ore, di cui uno è da più parti indicato come “papabile”.
La matassa dell’intrigo è racchiusa dentro le mura di un convento. Siamo ad Alcamo, provincia di Trapani. L’undici ottobre 2011 un drappello di investigatori della Finanza agli ordini della procura trapanese, seguendo le tracce di una truffa milionaria ai danni della Curia locale, perquisisce i locali attigui al monastero dell’Angelo Custode dove vivono due anziane religiose. Saltano fuori carte riguardanti un conto IOR e dei sigilli rosso porpora “che - dicono gli investigatori - sembrerebbero essere riconducibili all’uso esclusivo di Alte Autorità dello Stato Vaticano”, il Papa e pochi altri.
I sigilli secondo le indagini compaiono in un preliminare di vendita – per 70 mila euro - riguardante proprio una parte del convento. Chi lo avrebbe venduto? A che titolo e con quale autorizzazione? I magistrati trapanesi scoprono che quel conto IOR viene gestito da un prete, Ninni Treppiedi, il motore primo di tutto l’affaire, indagato dalla Procura per un saccheggio di beni immobiliari della Curia per milioni di euro, condotte “acclarate – secondo gli investigatori – documentalmente, una serie di appropriazioni indebite di ingenti somme di denaro, truffe e falsi ideologici in atto pubblico”. Saccheggio che aveva colpito anche il monastero alcamese – del valore catastale di due milioni – di cui Treppiedi risulta essere donatario da parte delle religiose.
“Un sapemo cu è” – dicono ai magistrati le due suore riferendosi a Treppiedi. Ma le intercettazioni dicono ben altro. Viene fuori che il don è stato nominato loro erede universale.
Gli investigatori sospettano che in quel conto e in un altro aperto da don Ninni siano finiti i ricavati delle vendite di decine di immobili della Curia. E che il giovane prete, legato a filo doppio agli ambienti che contano a Trapani, goda di amicizie influenti anche in Vaticano. Ma c’è chi, nonostante l’indagine che vede indagate dodici persone oltre Treppiedi, quella perquisizione al convento non riesce a mandarla giù. E scrive al vescovo trapanese del tempo, Francesco Micciché: “Lei avrebbe autorizzato l’accesso alle guardie con una modalità, che se dovesse risultare vera non si addice al comportamento di un Vescovo”. A mettere nero su bianco queste parole è il cardinale Marc Oullet, oggi tra i papabili. Quando scrive - il 17 novembre 2011 - è a capo della Congregazione dei Vescovi e afferma che della perquisizione è stato avvertito dalla Congregazione degli Istituti di Vita consacrata.
Il convento non è territorio vaticano ma Oullet deplora il fatto che alla perquisizione non avrebbe prestato “consenso la Superiora” e che “l’ispezione” avrebbe riguardato “il tabernacolo e invaso la clausura violando l’intimità delle anziane suore”. Circostanza smentita dagli inquirenti che si stupiscono di come mai nessuno delle Congregazioni vaticane scandalizzate dalla perquisizione abbia preso visione del verbale di sequestro e del fatto che in quel convento siano state rinvenute prove delle malversazioni.
Ai magistrati non resta che una sola mossa: una rogatoria in Vaticano che sveli il mistero dei conti IOR e dei sigilli rosso porpora.
Ed è con sorpresa quindi che gli investigatori scoprono che un paio di indagati, assieme a padre Treppiedi, avrebbero avuto accesso indisturbati nelle più delicate stanze del Vaticano, trovandosi a poca distanza dal Papa. Pubblicando poi, sulla bacheca di Facebook foto e commenti. Salvo poi cercare di cancellare e fare sparire tutto dalla Rete, quando però quelle foto erano già finite sul tavolo del magistrato. Il fatto risale al 18 febbraio 2012, durante il Concistoro per la nomina di nuovi 22 cardinali. La coppia alcamese è ritratta con un potente neo-cardinale dal quale sono stati invitati: Monteiro De Castro. “Avete parlato con lui?” scrive un amica dei due indagati. “Di certo non siamo stati zitti” – risponde l’indagata. De Castro -ex segretario della Congregazione dei vescovi – ha firmato l’ispezione nella diocesi di Trapani che è arrivata a conclusioni opposte di quella della magistratura, salvando Treppiedi e licenziando il Vescovo Micciché che si era rivolto alla magistratura per i maneggi orditi dal Don. Ispezione – notano gli investigatori - causata da una campagna di stampa definita nella rogatoria in Vaticano “ ispirata da Treppiedi” e “totalmente destituita di fondamento ed anzi strumentalmente falsa, finalizzata a ottenere la rimozione per indegnità del Vescovo di Trapani”.
Ma i rapporti di potere in Vaticano di don Treppiedi fotografati dall’inchiesta trapanese non finiscono qui. Qualche mese prima era stato lo stesso Treppiedi dalle colonne di un periodico locale a raccontare di alcune sue amicizie altolocate. “Sono molto amico dei cardinali Romeo e Rodè”. Il primo, l’arcivescovo di Palermo che avrebbe riferito di un possibile attentato al Papa durante un viaggio in Cina di cui non sono mai stati chiariti i motivi, conosce Treppiedi da quand’era nunzio apostolico in Italia e non ha fatto mai mistero pubblicamente della sua amicizia col giovane prete partecipando ad incontri e messe perfino in un piccolo borgo di cui il prete era parroco e ad Alcamo. Rodé, già prefetto della Congregazione degli istituti religiosi, secondo le indagini avrebbe ricevuto in regalo da Treppiedi un'autovettura di grossa cilindrata dopo essere stato suo ospite nel giugno del 2010, proprio ad Alcamo, per una celebrazione mariana. E infine un altro cardinale rimane sullo sfondo. E’ Mauro Piacenza che ha avocato alla sua congregazione la questione della sospensione a divinis del prete effettuata dall’allora vescovo di Trapani. Piacenza l’ha confermata e ha intimato al prete di restituire il mal tolto. Poi un silenzio che in alcuni ambienti ecclesiali farebbe pensare all’ennesimo insabbiamento soprattutto dopo che l’Amministratore inviato dal vaticano a Trapani, l’arcivescovo Alessandro Plotti, personalità di al di sopra delle trame vaticane, si è espresso con determinazione per la riduzione allo stato laicale del prete già sospeso e sotto inchiesta.
Chi è il cardinale che avrebbe dato al rampante prete indagato l’uso del proprio sigillo? Quali somme sono transitate su quei conti Ior? Chi in Vaticano ha paura di essere coinvolto nelle trame che partono in quell’antico convento di Alcamo?
Domande ancora inevase. “Insoddisfacente e priva di documentazione”, questo il giudizio degli investigatori sulle risposte arrivate dal Vaticano dopo l’invio della rogatoria.
Ed ecco servito l’intrigo: di provincia, certo, ma i cui effetti sono arrivati fino alla Santa Sede. Per di più in un momento così travagliato.
Nicola Biondo - L'Unità