Senza in alcun modo formulare un
j’accuse senza appello, resta il fatto che le vicende circa le quali si richiede al pontefice di dissipare i dubbi non sono di natura privata, ma di rilievo pubblico, poiché concernono l’esercizio del suo ministero ed investono questioni di ordine politico e, prima ancora, umano. Circa tali questioni, difatti, chiunque rivesta un ruolo pubblico (e in ciò mi includo) deve rispondere delle sue decisioni ed omissioni. Nel mio precedente articolo ho provveduto a documentare la legittimità di alcuni sospetti circa la pretesa estraneità del pontefice in merito al sequestro ed alla tortura dei sacerdoti gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics, cui si aggiungono le ombre circa il sequestro (il 18 di luglio del 1976) ed il brutale assassinio dei sacerdoti Gabriel Longueville e Carlos de Dios Murias.
È fondamentale, a tale riguardo, rimarcare il fatto che le denunce che hanno permesso di avviare le indagini sono state effettuate da organismi che si occupano della tutela dei diritti umani e non, come ha provato a dire il direttore della sala stampa della santa sede Federico Lombardi (anch’egli gesuita), «da elementi della sinistra anticlericale», al solo scopo di «attaccare la chiesa»: affermazioni, queste ultime, tragicamente vicine alle accuse che la dittatura militare argentina formulò nei riguardi di quanti si opposero al regime.
Così come non possono essere in alcun modo considerate sufficienti al fine di scagionare il pontefice dai sospetti menzionati le scuse ufficiali (anch’esse rammentate da Lombardi nel corso della conferenza stampa di venerdì 15 marzo) che egli ha rivolte al popolo argentino nel 2006, dichiarando che, all’epoca della dittatura, la chiesa cattolica «non fece abbastanza» per contrastarla: si tratta, per usare un eufemismo, di una colossale inesattezza storica, dacché la complicità dei vertici del cattolicesimo istituzionale con la
junta di Videla è stata, questa sì, ampiamente provata
[1].
I numerosi martiri tra le fila del cattolicesimo di base, legato alla teologia della liberazione e al movimento di educazione popolare (entrambe apertamente osteggiati nell’arco dei pontificati di Wojtyla e di Ratzinger), sono poi serviti, come di consueto, da paravento e da scudo alle gerarchie cattoliche e alla loro inescusabile connivenza con le dittature militari, appoggiate senza riserve in tutto il Centro e Sud America. Ecco perché, stimato La Valle, ritengo che il primo compito di chi redige un articolo sia quello, che lei del resto ha realizzato con serietà e competenza nell’arco della sua attività giornalistica, di formare l’opinione pubblica attraverso il resoconto documentato dei fatti. Si tratta di ciò che, sia pur con tutti i miei limiti, ho provato a fare.
Alessandro Esposito – pastore valdese
(articolo pubblicato su
MicroMega del 19 Marzo 2013) da
www.chiesavaldesetrapani.com
[1] Il giornalista, scrittore ed attivista nell’ambito dei diritti umani Emilio Mignone, peraltro cattolico e non certo esponente della sinistra bolivariana, lo ha documentato sin dal lontano 1986 in un articolo intitolato Iglesia y dictadura. La experiencia argentina (Pubblicato sulla rivista: Nueva Sociedad, n. 82/1986, pp. 121-128, consultabile in lingua spagnola anche sul sito internet www.nuso.org).