Ha la forma di un fiore ed è dotato di tentacoli con cui si procaccia il cibo dal plancton marino. Utilizza i suoi muscoli per secernere una sostanza calcarea che, sedimentandosi, forma foreste di rami sottomarini. L’animaletto di cui stiamo parlando è il corallo, protagonista tra il XVI e il XVIII secolo della fortuna d’intere generazioni a Trapani.
Al largo delle isole Egadi, il banco di Skerki al confine con la Tunisia fu in quell’epoca una vera miniera per i corallai siciliani, che immergendosi in apnea o navigando a bordo delle «coralline» a vela latina, riuscirono a portare in superficie una grande quantità di preziosi rami rossi. A trasformarli in oggetti di raffinata fattura, calici e paliotti d’altare, alzate e presepi furono soprattutto gli ebrei, conoscitori delle antiche tecniche della cucitura o del retro incastro. Tutt’oggi la lavorazione del corallo è mantenuta in vita a Trapani da pochi consumati artigiani, le cui botteghe-laboratorio, una sorta di contemporanee stanze delle meraviglie, si scoprono inoltrandosi tra vie, viuzze, cupole, sagrati e terrazze d’impronta araba del centro storico racchiuso tra l’azzurro di due mari, il Tirreno e il Mediterraneo. La più antica porta l’insegna di Platimiro Fiorenza, l’ultimo «mastru curaddaru» trapanese (in via Osorio 36) che a soli sette anni già spianava le prime spole di corallo e imparava a disegnare, incidere e incastonare gioielli. Ma per farsi un’idea di quali capolavori a tutto tondo si possano ancora creare usando con disinvoltura il bulino, la lima e il seghetto vale la pena far visita al negozio di Alfonso Graffeo, ineguagliabile maestro nel creare foglie, roselline e giglietti montati su esili legamenti d’oro (via Antonio Roasi 11).
Al profano come al sacro il mestiere del corallaro deve il suo successo. L’antico percorso dei pellegrini impone una visita al Santuario della SS. Annunziata, secolare custode del culto della Madonna di Trapani che si presenta ai fedeli con il volto e le fattezze marmoree di una statua di Nino Pisano, figlio del più celebre Andrea. Intorno a lei crebbe nei secoli una ricca committenza devozionale fatta non solo di semplici rosari e statuine in corallo, ma anche di elaborati manufatti offerti in dono da principi, viceré e cardinali. Questo patrimonio è oggi in gran parte raccolto nell’attiguo convento trecentesco dei padri Carmelitani, sede del Museo regionale Pepoli
(www.comune.trapani.it/turismo/pepoli.htm), dove dal 18 maggio al 30 giugno 2013 verrà allestita la mostra «I grandi Capolavori del Corallo - I coralli di Trapani del XVII e XVIII secolo», attualmente in corso (3 marzo-5 maggio 2013) nel Palazzo Valle di Catania (www.fondazionepuglisicosentino.it). Un’occasione davvero unica per vedere riuniti in una sola esposizione opere d’oreficeria di squisita lavorazione e insieme per captare le seduzioni di quel Rosso Corallo del Mediterraneo che fu apprezzato persino come talismano della felicità e panacea per guarire mille mali.
Se ci si trova poi a Trapani durante le Feste Pasquali, l’antica e moderna sapienza artigiana dei Trapanesi la si può toccare con mano assistendo alla Processione dei Misteri, che nel Venerdì Santo vede sfilare dalla chiesa barocca del Purgatorio 18 gruppi scultorei del Sei e Settecento rivestiti con panneggi e monili antichi in oro, corallo e smalti preziosi, senza dimenticare la corona posta sul capo di Gesù: un intreccio di fili d’argento tempestati di spine in corallo.
Si entra così sempre più in la confidenza con questa strana città a forma di falce, un’inconsueta mescolanza d’arte, artigianato, religiosità, fatalismo, con il paesaggio evanescente delle isole Colombaia sullo sfondo, la sua torre ferita e cadente, il profumo del pesce fresco messo all’asta dai pescatori in siciliano strettissimo nel nuovo mercato del porto.
Per gustarne pienamente aromi e i profumi ci si può fermare al ristorante Le Mura in viale Sirene 15/19, mecca della cucina locale: il menu spazia dal cous cous servito con pesce, pomodori, aglio e prezzemolo, agli spaghetti ai ricci di mare o alla Mura, conditi con uova di spada, bottarga di tonno e mandorle (www.lemuraristorante.it). Dal 24 al 29 settembre, un appuntamento speciale per apprezzare il cous cous è il Festival del borgo marinaro di San Vito lo Capo, una manifestazione fatta di sapori di tutto il mondo e sfide gastronomiche tra grandi chef. Un’altra delizia locale è il pesto alla trapanese, a base di pomodorini freschi, basilico, aglio e mandorle, con cui s’insaporiscono le busiate, tipici maccheroni fatti a mano. Altri piatti veraci della Trapani marinara e contadina sono le sarde «allinguate» nell’aceto e poi infarinate e fritte, il pesce spada alla pantesca (ossia alla maniera di Pantelleria, con i capperi) e le cassatelle al profumo di cannella accompagnate da un bicchierino di Marsala o di Passito di Pantelleria.