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09/05/2013 07:01:55

Ho un dubbio. Almeno credo

Vengo quindi alla sua seconda considerazione: effettivamente, fonti canoniche alla mano, è difficile ricostruire quello che fu l'atteggiamento di Gesù nei confronti della potenza militare occupante: le nostre fonti, infatti, sono di seconda (ma più opportuno sarebbe definirle persino di terza) mano, ragion per cui, circa ciò che Gesù propriamente pensava (e non solo in ordine alla politica e al suo rapporto con la fede), siamo all’oscuro e non possiamo far altro che interpretare i testi, i quali, però, non sono resoconti storiografici, bensì testimonianze appassionate. A queste ultime, siamo libere e liberi di dare credito: questo, propriamente, significa difatti il termine greco «pìstis», che traduciamo con la parola «fede». Il verbo greco corrispondente utilizzato nei vangeli così come nelle epistole paoline, «pistèuomai», ha difatti, proprio come il corrispondente "credere" in lingua italiana, una duplice, inscindibile valenza, di massima, incondizionata fiducia e di ipotesi verificabile ma anche, come voleva Karl Popper, falsificabile.

Provo a spiegarmi meglio: il verbo credere, in greco antico come in italiano, può essere usato per attestare una fiducia senza riserve («Ti credo») ma anche per esprimere perplessità («Credo che le cose stiano così» - ma, sottinteso, non ne sono così sicuro). Di fronte alle testimonianze evangeliche sulla vita e sull'attività pubblica di Gesù ci troviamo, inevitabilmente, nella stessa situazione: possiamo dare loro credito, ma è bene che il dubbio che ci attraversa intimamente ogniqualvolta prestiamo loro ascolto non venga eluso o estromesso. «Fede», infatti, significa ambedue le cose: fiducia e domanda, affidamento e rischio radicale.

Lo stesso Gesù del vangelo secondo Marco, che il nostro lettore cita opportunamente, esprime questa sconcertante ambivalenza quando, appeso alla croce per un'accusa mossagli dal sacerdozio del tempio ed eseguita dal «braccio secolare» rappresentato dall'occupante romano, esclama a gran voce, rivolgendosi a quel Padre a cui – pur nella disperazione – non ha cessato di credere: «Dio mio, Dio mio: perché mi hai abbandonato?».

Deprivata di questa sua dimensione di radicale, irrimediabile sospensione, la fede viene svuotata del suo contenuto più proprio perché più umano: e diventa così sterile ripetizione di formule vuote, banalità senza spessore, offesa arrecata alla nostra natura interrogante, abitata da un’intima, insanabile contraddizione.

Alessandro Esposito– pastore valdese (Pubblicato su MicroMega on-line – 8/5/2013)