La Sicilia è povera, desolata. In Sicilia non c’è nulla, solo pietre. Ci abbiamo
costruito una fortuna, su questa cosa qui. Come dice il poeta? “Oh terra mia
d’aranci, d’aranci e di canzuni; u latti mi lu dasti ma pani un mi nni duni”.
In Sicilia c’è disoccupazione.
In Sicilia non ci sono imprese.
Nel Sud d’Italia si vive male.
Non ci sono i soldi.
Ecco, non è vero. Ma non ditelo in giro.
Abbiamo costruito il mito dell’isola povera, perché non vogliamo che si sappia la verità: qui arrivano un sacco di soldi. Proprio perché siamo poveri. Che paradosso, no? La povertà è la nostra ricchezza. Più soldi arrivano e più dobbiamo essere poveri per permettere che il sistema duri. Dall’Unione Europea arriva un fiume di denaro per l’Italia, per il Sud, per la Sicilia.
Su una programmazione comunitaria di 347 miliardi, per gli anni 2007-2013 la Ue ha destinato all’Italia circa 28 miliardi di fondi strutturali. Di questi, la maggior parte va al Sud, perché siamo poveri.
Sono finanziamenti a pioggia che arrivano a noi, tramite i rivoli più diversi: patti territoriali, piani di sviluppo, piani urbani. Dovrebbero servire a creare sviluppo, infrastrutture, lavoro. Invece ingoiamo tutto noi, come ad una pesca miracolosa. Caliamo una rete e i pesci entrano. Nella nostra rete ci sono imprenditori senza scrupoli, professionisti esperti in bandi, commercialisti dalla fattura magica, politici amici, funzionari pubblici che si girano da un’altra parte al momento giusto. E un gran silenzio attorno, per non disturbare il manovratore.
La truffa non è un fatto episodico. È un sistema. Non è un livido nella candida pelle della Sicilia. È un tumore. Siamo così tanti ormai che una volta a settimana, in media, qualcuno di noi incappa nelle maglie della finanza. Ma facciamo notizia solo nelle pagine locali dei giornali, in qualche sito internet. Lo scandalo dura due, tre giorni, a volte tre minuti. Poi tutto si tranquillizza.
Uno degli ultimi casi per esempio è a Naro, in provincia di Agrigento. Ecco il comunicato della guardia di finanza. È il 12 marzo 2013.
“I militari della guardia di finanza di Canicattì hanno scoperto un’azienda di Naro, operante nel settore della fabbricazione di articoli tessili, che ha illecitamente incassato o tentato di incassare finanziamenti pubblici per complessivi 4,5 milioni di euro. Le indagini, dirette dal pubblico ministero Baldi e coordinate dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo della Procura della Repubblica di Agrigento, hanno permesso di scoprire una truffa che vede coinvolti diversi soggetti: i soci responsabili dell’impresa narese, due funzionari dell’ente responsabile dell’erogazione del finanziamento, numerosi imprenditori – tra i quali i rappresentanti legali di tre società per azioni – dislocati, oltre che in Sicilia, anche nel nord Italia (Piemonte, Lombardia, Toscana). Nei giorni scorsi le fiamme gialle canicattinesi hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari a dodici indagati, che dovranno rispondere dei reati di truffa aggravata ai danni dello stato e falso. In relazione all’indebita percezione di fondi pubblici, inoltre, gli stessi sono stati segnalati alla Procura Regionale della Corte dei Conti per danno erariale. Nello specifico, i finanzieri hanno accertato l’indebita percezione di agevolazioni finanziarie, pari a circa 3 milioni di euro, previste dal patto territoriale per la Sicilia centro meridionale, relative a fondi statali stanziati proprio per finanziare progetti tesi a favorire l’occupazione in aree disagiate. L’azienda narese, infatti, ha intascato circa 3 milioni di euro per avviare un impianto destinato alla tintura di tessuti a maglia, che avrebbe dovuto impiegare circa trenta lavoratori. Le indagini delle fiamme gialle hanno dimostrato che, diversamente a quanto certificato dall’impresa, che aveva dichiarato di aver realizzato e reso funzionante l’impianto industriale, in realtà l’opera non era stata mai realizzata. I sistemi di frode utilizzati sono stati molteplici: la presentazione di titoli di spesa falsi, l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’ottenimento di più agevolazioni finanziarie per un medesimo bene; circa tale ultimo aspetto, è emerso infatti come, rendicontando lo stesso bene in due distinti progetti, l’impresa avesse ottenuto un ulteriore contributo comunitario pari a circa 440.000 euro, in barba alle disposizioni normative che vietano tale possibilità. Non solo: l’azienda narese era riuscita ad ottenere indebitamente, attraverso la presentazione di documentazione non veritiera, anche la concessione di un’ulteriore quota di finanziamento di circa 1,5 milioni di euro, la cui effettiva erogazione è stata bloccata solo grazie all’intervento degli organi inquirenti, che hanno anche informato il ministero dello Sviluppo Economico per l’avvio dell’iter procedurale finalizzato alla revoca e restituzione, da parte del soggetto beneficiario, di quanto indebitamente percepito. Gli odierni risultati investigativi, frutto del costante coordinamento e della stretta sinergia fra Procura e guardia di finanza, rientrano fra le attività che le fiamme gialle da diverso tempo cercano di privilegiare, attraverso una sempre maggiore concretezza e qualità, e che sono volte a tutelare gli interessi dell’erario nazionale e del bilancio comunitario, anche e soprattutto sul versante della spesa, al fine di garantire che, soprattutto in un momento di così grave crisi finanziaria, le risorse vengano destinate agli imprenditori seri ed onesti e la libera concorrenza del mercato non venga inquinata da atteggiamenti truffaldini”.
Ci sono, in questa notizia, tutti i meccanismi della truffa. Gli imprenditori. I funzionari pubblici. I complici. I finti posti di lavoro. Gli agganci nel nord. Lo strumento: il “patto territoriale per la Sicilia meridionale”. Cambiate i tessuti con l’olio, o il vino, o le pale dell’energia eolica, o un resort. Cambiate Canicattì con Marsala o con Ragusa, o con il Comune più disperso delle Madonie. Cambiate il patto territoriale con qualche progetto comunitario, un “piano urbanistico per lo sviluppo”, una legge sull’imprenditoria giovanile o femminile. Cambiate l’ordine dei fattori, i protagonisti, la scenografia e il campo di gioco. Il risultato è lo stesso. Ci sono anche, in questo come in tutti i comunicati delle forze dell’ordine, le tre righe finali di pia illusione di chi indaga. Credono di aver fatto giustizia, di aver contribuito a debellare la malapianta. Ma quando mai. È come tentare di svuotare il mare con un bicchiere.
Oppure ci sono relazioni così:
“Il comando polizia tributaria di Palermo ha contestato l’illecita percezione di fondi comunitari, finalizzati alla realizzazione di progetti industriali in Sicilia, attraverso un sofisticato sistema di frode, incentrato sulla predisposizione di false fatturazioni per importi ingenti, utilizzando società interposte di diritto estero, al fine di eseguire, mediate artifizi, fittizi aumenti di capitale sociale per dimostrare gli apporti di capitale prescritti dalla relativa normativa; lo stesso comando ha denunciato l’indebita percezione di finanziamenti comunitari ad alcune cooperative associate e a numerosi soci produttori nel settore della trasformazione
industriale degli agrumi, perpetrato attraverso false attestazioni di proprietà di terreni non rientranti nella disponibilità dei beneficiari, ma risultavano intestati a persone estranee al regime di aiuto, avevano superficie notevolmente inferiore a quella indicata e risultavano occupati da scuole pubbliche civili abitazioni ed opere ferroviarie”.Illecita percezione di fondi comunitari, sofisticato sistema di frode, false fatturazioniper importi ingenti, società interposte di diritto estero, fittizi aumenti dicapitale sociale, false attestazioni di proprietà. Sono le nostre parole chiave, i nostritag.Ci danno la caccia, certo. Qualche procuratore, la guardia di finanza. Ma sonopochi e sbandati. Poi c’è la Corte dei Conti. Ogni anno, nelle loro relazioni, i magistraticontabili lanciano appelli, strali, allarmi, ovviamente inascoltati. Ogni annosembra di leggere sempre le stesse cose. Il Paese è immobile, ci muoviamo solonoi. Ogni anno viene lanciato l’allarme al “settore delle frodi e irregolarità nella percezione e illecita utilizzazione e destinazione di risorse pubbliche erogate nell’ambito di programmi di intervento infrastrutturale finanziati da fondi comunitari e nazionali”. Un settore “caratterizzato da una persistente ampia realizzazione di illeciti sottolineata sia dalla Commissione Europea sia dagli organismi nazionali di analisi, controllo e contrasto”.
Negli ultimi anni c’è stata un’escalation. I numeri delle frodi comunitarie non lasciano molto spazio all’immaginazione: in una delle ultime relazioni la Corte dei Conti Europea calcola che l’Italia ogni anno percepisce illegittimamente 800 milioni di euro. Tra il 1996 e il 2007, fra Stato e Unione Europea, le stime parlano di frodi vicine ai quattro miliardi di euro. Di questi, almeno 1,2 miliardi sono finiti direttamente nelle mani delle organizzazioni mafiose. Sul fronte comunitario, soltanto nel 2009 fra false domande di aiuti all’agricoltura e finanziamenti all’imprenditorialità, solo per prendere due campi, le truffe nell’utilizzo dei fondi strutturali accertate dalle fiamme gialle sono state 891, per un totale di 328 milioni di euro percepiti indebitamente. Nel 2010, ultimo dato disponibile, i casi individuati sono saliti a 959, i milioni “depredati” a 395. Se si considera, come fanno gli investigatori, che per ogni truffa scovata ce se sono almeno cinque non scoperte, si capisce come questo sia un settore che non conosce crisi. Al contrario, prospera e pone una cappa ancora più pesante sull’economia sana. Un vero e proprio ecosistema con le sue regole, che ha dato vita a una diversificazione “professionale” che ha contagiato anche il mondo dei liberi professionisti. E i numeri dall’Olaf, l’organismo comunitario per la lotta antifrode, confermano la leadership italiana: a fine 2010 vi erano quarantuno indagini riguardanti il nostro Paese. Solo la Bulgaria ha fatto “meglio”.