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14/10/2013 06:40:00

La guerra contro i giornalisti che parlano di mafia a Trapani e Marsala....

 “State attenti, siamo tornati allo stesso clima degli anni ottanta” ci diceva venerdì sera il giornalista Rino Giacalone, a Trapani. Un giornalista che a Trapani dice una cosa di questo genere dice una cosa pesantissima. Parlava di libertà di informazione, Giacalone, della sua condanna a risarcire 25.000 euro all'ex Sindaco di Trapani Mimmo Fazio, di come diventi sempre più insistente il tentativo di tappare la bocca a chi parla di mafia, di legare le mani a chi tenta di fare un po' di antimafia. Roba da anni '80, appunto. Dove a Trapani era tutto primitivo, dove un giudice come Giacomelli, un signore, prima ancora che un giudice, veniva ammazzato perchè aveva “osato” confiscare una casa al fratello di Totò Riina, e chi comandava era nelle logge, non al Comune, e nessuno per paura parlava.
Siamo tornati agli anni '80. Che esagerazione, pensavo, mentre ascoltavo Rino parlare. E' una di quelle cose che quando le senti ti viene voglia di girarti, cercare la complicità di qualche altro spettatore come te, e alzare il sopracciglio, o scambiare un'occhiata, per trovare un'intesa silenziosa, e dire che no, non la pensiamo tutti esattamente così.
Solo che io mi sono girato. A destra, a sinistra, indietro. E non ho trovato nessuno. Alla manifestazione convocata per esprimere solidarietà a Rino Giacalone, venerdì sera, in piazza San Francesco di Paola, a Trapani, eravamo una decina, qualcosa in più. E ci conoscevamo tutti. Giornalisti: io, Rino e Gianfranco Criscenti. Poi, basta.
Non c'era nessuno. E lo capisci da questa assenza perchè siamo tornati agli anni '80: perchè alle persone non interessa, non interessa nulla. Non interessa quello che è successo a Rino Giacalone, ma di più, non interessa neanche quello che scrive Giacalone.
Non interessa neanche ai giornalisti, tanto. Ce ne sono molti, qui in provincia, ma aspettano sempre un momento più conveniente per parlare. Non sapete quanti miei colleghi mi dicono: “Siamo con te, ma non possiamo esporci”. Già, esporsi. C'è questa idea sempre dell'agire civile (perchè questo è, stare vicini ad un giornalista, o fare una denuncia, o dire, per una volta di no: azione civile) come di una specie di balconata. Uno si espone. Tutti preferiscono guardare invece da dietro gli scuri, senza esporsi. E i pochi, pazzi, che si espongono, sul balcone, sembrano gli scemi del paese, quelli che li trovi affacciati e urlano cose a volte incomprensibili.

A proposito della condanna di Rino, devo qui dire come la penso. Io penso che Fazio ha ragione, ad esempio. Chiunque querela o chiede i danni ha tutto il diritto di farlo, in linea di principio, la legge glielo consente. Fazio, tra l'altro, rispetto al Sindaco di Marsala, Giulia Adamo, è un signore: ha chiesto i danni per conto suo e non per conto dei cittadini.
Dopodichè dobbiamo anche chiarire alcune cose. Che non sono in punta di diritto, ma vanno oltre. 
La prima, è che di solito uno chiede un risarcimento danni, appunto, perchè ritiene che sia stata lesa la sua dignità o la sua immagine. L'articolo di Rino incriminato - faceva un infelice paragone tra Fazio e Messina Denaro, il capo della mafia – è del 2006. Da allora Fazio è stato rieletto Sindaco di Trapani e deputato regionale. Non credo che abbia avuto tutta questa lesione della sua immagine. La sua carriera politica non ne ha risentito.
La seconda cosa è che danni Fazio non ne ha risentito anche per via del discorso che facevo prima, cioè del pubblico assente. A Trapani, come a Marsala (come in Italia verrebbe anche da aggiungere, ma concentriamoci su quello che accade nel territorio, è meglio....) manca l'opinione pubblica. Manca cioè quella massa critica di cittadini capace di prendere posizione su un fatto. Tant'è che noi raccontiamo giorno per giorno le peggiori nefandezze, le più astute ruberie, l'uso per fini privati della cosa pubblica e tutto rimane com'è. Non c'è un corteo, una petizione. Fuori dalla solita cerchia di persone impegnate (ma ci conosciamo tutti....) non c'è nulla. E se non c'è nulla e se io, Rino e Gianfranco parliamo nel deserto, chiedere i danni è come chiedere i danni al vento perchè alza la sabbia nel deserto. Non so se mi spiego. Ma chi o cosa danneggiamo davvero se nessuno ci ascolta?
Infine, terza cosa. Non so dove l'ho letto (leggo troppo, troppe cose, e tutto si mischia in una specie di storia collettiva nebulosa nella mia testa, scusatemi), ma ieri, forse su La Stampa, leggevo l'intervista ad un personaggio famoso che diceva una cosa per me clamorosa: per cambiare le cose, un tasso di illegalità è necessario. Cioè? Chiedeva il giornalista. E lui (o lei, non ricordo) ribadiva che i grandi cambiamenti nascono sempre da una piccola sovversione dell'ordine costituito, un agire sopra le righe. Un pisciare fuori dal vaso, dico io, che sono smemorato e poco british.
Ecco, Rino Giacalone l'avrà anche fatta fuori dal vaso, con quel suo articolo, ma a noi giornalisti, in questa terra, che siamo pochi, maltrattati, non ascoltati e inefficaci, tristemente inefficaci, deve essere consentito il buon senso, ogni tanto, di non avere buon senso. So che è difficile, ma mi spiego meglio. Mi raccontava il mio super avvocato e amico Valerio Vartolo che la giurisprudenza ha di recente riconosciuto che ad un giornalista va riconosciuto non tanto il dovere della verità, quanto quella della verosimiglianza, soprattutto se opera a livello locale. Non deve dire per forza ciò che è vero, basta che sia verosimile. Il che non significa che possiamo scrivere quello che vogliamo, sia chiaro, ma che ci è consentito fare supposizioni suffragate da circostanze, mettere insieme fatti, fare paragoni. Se no è tutto un copia incolla di cose note (questo lo dico io, non la corte). Quindi, ci sta anche avere ogni tanto una opinione infelice. Passi. 
Ecco quello che penso della vicenda Fazio – Giacalone. Che mi tocca da vicino: il 17 Ottobre si terrà la prima udienza del processo che mi riguarda  e che nasce dalla richiesta di risarcimento danni avanzata dal Sindaco della mia città, Marsala, nei miei confronti. Il Sindaco, a nome di tutti i cittadini, paga con i soldi nostri, i soldi del Comune, un avvocato per farmi causa: vuole da me un risarcimento per danni di immagine di 50.000 euro perchè ritiene che la mia attività giornalistica sia dannosa, appunto, per la città di Marsala.
La vicenda è nota. Ha fatto ridere l'Italia intera. E' la prima volta che accade in Italia una cosa di questo genere, una causa ad un giornalista fatta non da un privato, ma da un pubblico ufficiale, un Sindaco, in nome e per conto di tutti gli amministrati (o dovrei dire sudditi?) e non per un singolo articolo, ma per l'intera attività giornalistica. Non a caso io ho definito tutto ciò un esercizio di bullismo istituzionale.
Io in aula non vado mai. Non seguo le querele che mi riguardano. Non lo faccio per spocchia, ma, più prosaicamente, perchè il terzo obiettivo delle querele temerarie è farti perdere giorni interi nelle aule di tribunale (il primo obiettivo è farti paura, il secondo farti perdere soldi...). Quindi, non vado. Non vado anche perchè non ci sono. La prima udienza coincide con una mia conferenza presso un prestigioso istituto di ricerca di New York per presentare "Cosa Grigia", il mio libro uscito ormai un anno fa.  E non credo che ci potesse essere circostanza più felice, dal mio punto di vista. L'invito che mi viene oltreoceano è l'ennesima conferma di quanto meschina e ottusa sia stata l'azione giudiziaria intrapresa dal Sindaco di Marsala (magari ora che sa che vado pure in America a dire che esistono da noi mafia, corruzione, interessi privati nella cosa pubblica, eccetera eccetera, anziché 50.000 euro mi chiede il doppio....).
Anche in questo caso, a Marsala, amici, lettori di www.marsala.it e ascoltatori di Rmc 101, stanno preparando un sit – in di protesta, per il 16 Ottobre sera, a Piazza Dittatura Garibaldina, accanto piazza Loggia. Io non ci sarò, ma non importa, perchè qui è in gioco la libertà di informazione, non il mio destino.


Chissà quanti saranno. Sicuramente pochi come a Trapani. A Trapani tra l'altro la manifestazione si è fatta in una piazza bellissima, che non conoscevo. Piccola, bella ma popolare, vissuta di vita autentica, senza il pavè ma con pregiate facciate di palazzi nobiliari. Piazze così ti fan venire voglia di giocare a pallone. Anzi, siccome l'età ti tradisce, e adesso sei padre, la voglia segreta è un'altra: seduto al bar, bevi un caffè o un italico chinotto e guardi i bambini giocare a pallone. Fateci caso: giocare a pallone in strada è, tecnicamente, illegale. Codice della strada e leggi condominiali alla mano, non si può. Tutti noi maschi da bambini abbiamo avuto una signora, una vicina anziana, spesso, che ci ha bucato sadicamente un pallone. E tutti abbiamo fatto la colletta per ricomprarlo nuovo. E tutti, dai brocchi ai campioni, hanno cominciato così: tirando calci ad un pallone tra improvvisati pali fatti di zaini e giubbotti.Se ci fossimo attenuti a leggi, regolamenti e bon ton avremmo avuto certo le ginocchia meno sbucciate, ma non saremmo mai stati davvero felici, e i più bravi tra noi neanche campioni.
Ecco, noi giornalisti qui in provincia di Sicilia siamo come i bambini che giocano a pallone. Facciamo qualcosa di illegale, nel cortile di casa. Lo facciamo perchè ci diverte, e, parlo almeno nel mio caso, perchè ciò ci rende felici, perchè è così che a volte si diventa campioni. Potete bucarci il pallone quante volte volete. C'è già una colletta pronta per comprarne uno nuovo.

Giacomo Di Girolamo