Tourist Trophy: un nome – racchiuso in due parole – che rappresenta l’apice delle competizioni motoristiche. È nota a tanti e pochi, anche se comincia a prendere sempre più piede pure qua da noi. Non è famosa quanto la MotoGP, però nutre del rispetto da parte dei colleghi impegnati nella massima serie. Valentino Rossi l’ha commentata con un colorito “this guys have a balls of steel for run here”; frase che non starò qui a tradurvi perché, a mio avviso, già colma di significato. Grande stima per chi raggiunge l’isola di Man (ex colonia inglese situata nel Mar d’Irlanda, tra Scozia ed Irlanda del Nord ndr) in occasione di questo evento; infinita per chi prende parte a questa serie di gare, figuriamoci per i veri protagonisti così come Conor Cummins, il nostro intervistato. Mannese di nascita e residenza, classe ’86 e tra i migliori piloti nelle Road Race. L’incontro, svoltosi lo scorso venerdì 8 all’interno dello stand G95 Pad.10 nel corso di EICMA, è stato reso possibile (previo appuntamento) grazie alla MONDOCORSE; azienda meneghina leader nel nostro Paese per la produzione e distribuzione di documentari inediti al settore motoristico, nonché importatrice ufficiale in Italia di DVD e gadget riguardanti il T.T. Tutto mi aspettavo sul suo aspetto ma non che fosse di “statura elevata”: raggiunge i due metri d’altezza con facilità, tanto da farmi sembrare tarchiato malgrado il mio 1,86m. Al di là delle battute sarcastiche sul fatto che potrebbe debuttare nel ruolo di cestista in qualche squadra della NBA, Conor è conosciuto come un ottimo pilota di corse su strada già dagli esordi. Ha vinto tanto e continua ad ottenere piazzamenti di tutto rispetto (nonostante non sia favorito dalla sua statura, penalizzante per set – up e resistenza aerodinamica), è noto tra gli appassionati di tutto il mondo e sigla accordi di sponsorizzazioni con aziende di elevato prestigio. Ciò non rende questo 27enne una “stella capricciosa” come qualche collega di popolarità maggiore, esordendo con <<noi road racers siamo semplici perché prendiamo parte a gare in cui si corre per passione pura. Va bene: i soldi fanno comodo a chiunque (soprattutto negli sport motoristici a causa dell’eccessivo costo dovuto allo sviluppo di tecnologie varie), però si gareggia in questo tipo di gare per il piacere puro. Per non parlare che sono in pochi a praticarla come professione; alcuni dei migliori lavorano nell’azienda di famiglia, anche per il semplice fatto di tenersi impegnati tra una gara e l’altra>> . Da un senso alla valutazione di Valentino Rossi specificando <<non siamo muniti di follia pura, andiamo al limite riguardo la nostra tipologia di gare così come loro fanno in pista: non andiamo veloce quanto loro in pista, tantomeno loro nelle nostre gare. Loro spingono molto di più perché “si fidano” delle vie di fuga, noi meno perché se sbagliamo (e può succedere) subiamo danni maggiori dal punto di vista salutare>> . Qualcosa ne sa in materia di “incidenti”, con il suo noto inconveniente accadutogli nell’edizione della gara di Casa nel 2010 mentre era al comando <<è successo, sono ancora vivo ed ho fatto rientro alle gare nel 2012. Ho sbagliato, ho capito qual è stato il mio errore e so che non capiterà mai più>>. Risposta presumibilmente altezzosa, specie se viene semplicemente letta e non vissuta. Ammetto di aver infastidito il nostro intervistato con una tale domanda ma, visto il suo sguardo mentre pronunciava quelle parole, ho notato più un’affermazione a se stessi dopo aver rischiato la vita; una prassi per incitarsi a fare meglio malgrado l’accaduto, fronteggiando qualunque accidente com’è dedito da ogni pilota. Prima di salutarci, chiedo se sia rimasto soddisfatto dei tre giorni passati qui in Italia <<si, molto! La cosa che mi stupisce è che non pensavo di avere così tanti fan. Ci sono due o tre piloti italiani che corrono al Mountain; pochi e lo fanno da privati. Spero si aggreghino altri in futuro, magari qualcuno con un team ufficiale>>. In bocca al lupo Conor e see you soon at The Mountain.
Paolo Cudia