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17/01/2014 06:06:00

Appello alla signora o signorina F., affinché restituisca la borsa avuta da Giulia Adamo

Il Sindaco di Marsala, Giulia Adamo, pare che sia in vacanza. L’anno scorso era in Brasile, sempre a Gennaio, quest’anno è in Vietnam, dicono. Se la circostanza dovesse essere confermata, avrebbe del curioso. Il Vietinam è Paese caro, per ragioni che ci sono oscure, al presidente della Camera di Commercio, Pino Pace, e alla sua eminenza grigia, Pippo Sparla, oggi super consulente del Sindaco Adamo. In passato Pace ha tentato anche, non riuscendoci, di diventare console onorario del Vietnam in Italia, dicono i bene informati.

Immaginiamo che Adamo, essendo così lontana, non sarà stata ancora raggiunta dalla notizia dell’invito a comparire della Procura di Palermo per le sue spese strane quando era all’Ars. Con i nostri soldi, i soldi pubblici - i soldi dei cittadini che pagano le tasse, che non hanno asili nido dove mandare i figli, strade degne di questo nome, ospedali che funzionano, possibilità di lavoro - ecco, con quei nostri soldi ha comprato oltre al famoso vassoio d’argento che già era uscito fuori l’anno scorso anche tre bottiglie di vino da 100 euro l’una, una borsa da 440 euro da regalare, pranzi e gadget vari.

E’ immorale già comprare una borsa da 400 euro, secondo me, dicevo ieri a mia moglie. Ma a meno di quel prezzo una borsa Louis Vuitton non la trovi, mi faceva presente lei. Per un attimo ho pensato che mi stesse rinfacciando qualcosa. Effettivamente un regalo da 400 e rotti euro a mia moglie non l’ho fatto mai fatto, neanche quando le ho chiesto di sposarmi. Ma io lo so: a mia moglie piacciono i fiori, soprattutto quelli che giungono inaspettati. E un regalo così non le piacerebbe.

Comunque, dicevo, se già regalare una borsa così cara può essere imbarazzante, se lo fai con i soldi che non sono tuoi la cosa diventa anche triste.
Perchè fa tristezza tutta questa vicenda, di Giulia Adamo, e tutti gli altri suoi ex colleghi deputati. La tristezza di una politica che vive nel suo mondo, attaccata alle cose, alla “roba”, come il Mastro Don Gesualdo di Verga, quello che in punto di morte grida: “Roba mia, vienitene con me!”.

Pensateci, la signora Giulia Adamo è ricca, parecchio ricca, beata lei. Per le sue tasche regalare un vassoio da 2000 euro per una coppia di sposi equivale, in proporzione, ad una pizza il sabato sera di una famiglia media marsalese. Siamo lì. Come noi possiamo mangiare la pizza fuori senza rovinarci, anche lei potrebbe regalare vassoi a destra e manca con i soldi suoi senza avvertire alcuna sofferenza nel suo conto in banca.

Ciccio Appari, che è giovane, è dell’87, di fronte a questi scandali si arrabbia. Anzi, si incazza, per dirla tutta. 
Io alla sue età, dieci anni fa, ero come lui. Adesso prevale una cifra malinconica, la tristezza, appunto.

Non mi fanno rabbia, Adamo e tutti gli altri.
Mi fanno, invece, pena.
So già che si giustificheranno, che troveranno le pezze d’appoggio, che si salveranno il culo, in questa come in altre occasioni, perché loro cadono sempre in piedi.
Ma ciò non toglie che mi fanno sempre pena.
E che non cambia il giudizio su di loro prima durante e dopo questa vicenda: cafoni sono. E, attenzione a quello che dico, socialmente pericolosi.

Socialmente pericolosi, lo ripeto. Perché condotte così avide mettono in discussione il concetto stesso di cittadinanza, alimentano l’intolleranza verso una classe politica - che come i Borgia o certi signorotti medievali - cresce nell'illusione di una inviolabilità del proprio status.

Più di Giulia Adamo mi fa pena solo la signora che quella borsa griffata l’ha ricevuta, in regalo, pare per aver organizzato un evento politico riuscito. Talmente riuscito da meritare il premio di una borsa che costa quasi 500 euro.
E poi ci dicono: io faccio politica per passione.
No, fai politica perché poi ti regalano le borse.

Giulia Adamo la conosciamo bene. Di tutta questa vicenda lei dirà che non c’entra nulla, magari darà l’ennesimo mandato agli avvocati per querelarmi (sempre con soldi non suoi, ovvio) dicendo che offendo (io) l’immagine della città. Dirà che lei non sa niente, che le spese erano davvero di rappresentanza, che la borsa non era una borsa, ma un borsello, anzi una carpetta, in pelle, per documenti importanti...e via dicendo.

Non si scuserà, non fara mea culpa nè alcun passo indietro.

Anzi, dirà che è una cospirazione contro l’impero del bene da lei guidato per il rinnovamento della città di Marsala e della Sicilia tutta.
Lo ha fatto quando abbiamo raccontato delle indagini per peculato a carico del vicesindaco.
Lo ha fatto quando abbiamo raccontato delle condanne per falso del suo consulente e amico filovietnamita Pippo Sparla.
Lo farà anche ora.
E’ irrecuperabile.

Ma la signora, o signorina non so, lei, quella della borsa Louis Vuitton da 400 e rotti euro.
Ecco, mi rivolgo a lei.
Lei, signora, siciliana come me, immagino, magari mia coetanea. Lei, che ha ricevuto quella borsa come regalo per un’iniziativa politica, perché supporter di Giulia Adamo o di uno dei suoi tanti partiti.
Lei ha quella borsa.
A lei mi rivolgo.
Io non la conosco, signora della borsa. So che ha un cognome che inizia con la F. e, e con un paio di telefonate potrei scoprire chi è, contattarla - è il mio mestiere - ma non mi va. La tristezza rende indolenti.
So so che fa politica, e che evidentemente le piacciono le borse.
Però, le faccio un appello. Dia speranza ancora ai siciliani. Restituisca la borsa. Non a Giulia Adamo, ovvio, né al negozio dove è stata presa, Non c’è bisogno neanche di darla a chi ha bisogno, perché, so che sembrerà una bestemmia per alcuni e alcune, ma, fidatevi, nessuno al mondo ha “bisogno” di una borsa Louis Vuitton.
E allora la restituisca al Comune di Marsala, all’Ars. Ai carabinieri. La lasci nel gabbiotto della portineria, all'ingresso di una caserma. In un pacco anonimo, con discrezione.

Faccio un paragone ardito. In questi giorni penso spesso a quella frase che apparve nei muri di Palermo all’indomani del barbaro omicidio del Prefetto, il Generale Carlo Albero Dalla Chiesa, l’uomo che doveva debellare la mafia e che la mafia uccise dopo cento giorni dal suo arrivo in città. Quella scritta, famosa, ma che abbiamo dimenticato, quella scritta che una mano anonima - e meno indolente di me - con vernice bianca scrisse nel muro vicino il luogo della strage, fa così: “Qui muore la speranza dei siciliani onesti”.

Ecco, penso a quella frase, alla speranza, e alla morte della speranza. Ma penso soprattutto agli onesti. Quelli che campano del proprio lavoro, non rubano, non accettano regali pagati con i soldi pubblici, e se una cosa la fanno, la fanno per passione non per guadagno.

E allora, signora o signorina della borsa, se davvero ci vuole dare una speranza restituisca quel regalo indegno, per lei che l’ha ricevuto e per chi gliel’ha fatto, e magari ci metta su un biglietto, con scritto: qui ricomincia ad avere un senso la piccola speranza dei siciliani onesti.

Giacomo Di Girolamo