Mentre Io e Dio (Garzanti, 2011) di Vito Mancuso era un'opera di teologia fondamentale, Il principio passione (il nuovo libro, Garzanti 2013) è un'opera di teologia sistematica. L'obiettivo — è lo stesso autore a spiegarlo in un'avvertenza premessa alla trattazione vera e propria — è quello di proporre, nel contesto della contemporaneità, una domanda molto antica, su cui hanno riflettuto filosofi e teologi: che relazione c'è tra l'amore, in quanto essenza specifica del Dio che crea, e la struttura concreta del mondo che abitiamo?
Il libro affronta una duplice questione, teologica e antropologica: quando agiamo per il bene e la giustizia, riproduciamo una più ampia logica cosmica tesa all'armonia razionale oppure mettiamo in atto una logica del tutto estranea al cosmo? Tale domanda di fondo si intreccia con questioni inerenti la cosmologia, la filosofia della natura, la biologia, la fisica, oltre che il messaggio biblico e il patrimonio dottrinale cattolico.
Professor Mancuso, qual è il cuore del suo nuovo saggio?
«L'idea che il principio della vita nel mondo si basa sulla passione e genera passione. Principio va distinto da inizio, perché indica non solo il cominciamento di un fenomeno, ma anche la sua ragion d'essere e la sua finalità. Dicendo quindi che il principio della vita si basa sulla passione e genera a sua volta passione, intendo rendere conto del dato empirico in base a cui tutto ciò che vive patisce (passione in senso passivo) e al contempo si appassiona (passione in senso attivo). La passione è ciò che la vita produce su di noi, è la pressione che subiamo per il fatto stesso di essere al mondo (im-pressione) e che a nostra volta riproduciamo nelle nostre manifestazioni vitali (es-pressione). Nel libro questa tesi viene compendiata in una formula: Logos + Caos = Pathos. Esiste un principio di ordine e di organizzazione (Logos) che plasma in continuazione la massa originariamente caotica dell'essere-energia (Caos) e questa plasmazione, vale a dire quel processo che la teologia chiama creazione, produce Pathos-passione perché richiede un inesausto lavoro. La creazione è creazione continua. Teologicamente parlando, il rapporto tra il principio di ordine e la massa caotica dell'energia originaria si esprime individuando nel processo cristologico di incarnazione-passionemorte-risurrezione l'espressione della forma permanente della relazione tra Dio e il mondo».
In che modo ciò che lei chiama «passione» conferisce pienezza all'esistenza?
«Passione è un termine polivalente, per non dire ambiguo. C'è un modo di essere esposti alla passione che non dà per nulla pienezza all'esistenza, ma è semmai distruzione dell'esistenza perché indica una sofferenza più grande di quanto il soggetto possa sopportare, come quando diciamo (in analogia con la passione di Cristo) la passione di un popolo. Che pienezza all'esistenza può ricevere il popolo siriano dalla passione che sta vivendo? La passione conferisce pienezza all'esistenza solo nella misura in cui essa viene assunta consapevolmente, divenendo la prospettiva che ci mette in contatto con la dinamica della vita reale. La vita è fatta di sofferenza ma anche di gioia, di ingiustizia ma anche di giustizia, di assurdità ma anche di creatività. Far prevalere il positivo della vita, anzitutto nella nostra interiorità e poi in tutti i sistemi di cui facciamo parte, richiede lavoro, quindi passione, ma è precisamente questo che conferisce pienezza all'esistenza. Perché? Perché riproduce il movimento divino teso alla produzione di armonia relazionale, origine e fondamento del mondo e, ancora oggi, logica che lo mantiene in vita. Lavorando all'armonia relazionale (il bene, l'amore, la giustizia) si entra in contatto con il lavoro di Dio, e questo significa raggiungere la pienezza dell'esistenza».
Come si concilia questa visione con la presenza del male nel mondo?
«In realtà questa visione nasce proprio dalla consapevolezza del male nel mondo, quindi non ho alcun bisogno di conciliarla in un secondo momento. L'esigenza di conciliazione con la presenza del male si dà per la visione tradizionale, per la quale il mondo è creato in uno stato perfetto e governato dall'onnipotenza divina in ogni dettaglio e quindi non dovrebbe conoscere il male. lo invece assumo fin da subito la presenza del male e del disordine, e per questo parlo di Caos accanto al Logos. Ma come dimostro nel mio libro per pagine e pagine, questa visione, ben prima di essere mia, è sostenuta dalla Bibbia».
Su che cosa si basa la sua contestazione dell'idea del peccato originale?
«Ci sono elementi storici ed esegetici che qui non posso ricordare ma che espongo nei miei scritti. Qui mi limito a richiamare l'aspetto teoretico, cioè l'incapacità di concepire il caos quale elemento originario e la colpevolizzazione del genere umano che ne scaturisce. In realtà non c'è un peccato originale, c'è piuttosto un caos originale, ovvero lo stato sotto cui viene all'esistenza il mondo e anche ogni singolo essere umano. Il mito del peccato originale è la risposta falsa a un problema vero, quello della presenza del caos e del disordine in un mondo creato da Dio. Il dogma del peccato originale motiva questa presenza mediante il peccato del primo uomo e la conseguente colpevolizzazione dell'intero genere umano (che Agostino definisce "massa dannata"). In realtà la presenza del male nel mondo si spiega in base al caos, condizione necessaria per la nascita dell'indeterminazione della libertà, da cui poi procedono sia il bene sia il male».
Passando dalla teologia alla pastorale, quali potenzialità vede nella Chiesa di papa Francesco?
«Enormi. In questi mesi ha iniziato il lavoro di risanamento della Curia romana, ha colmato la distanza a volte abissale tra papato e sensibilità popolare, ha fatto risuonare il profumo della radicalità evangelica. Lasciamolo lavorare in pace e avvolgiamolo con le nostre preghiere, saprà dare compimento a tutte quelle attese legittime del popolo di Dio da troppo tempo frustrate, come la condizione della donna nella Chiesa, la morale sessuale e la bioetica attuali, che sono solo dei no, l'amministrazione dei sacramenti. Non si tratta di adeguarsi ai tempi, si tratta di far trasparire lo spirito del Vangelo e della sua misericordia, come già chiedeva il cardinal Martini».
intervista a Vito Mancuso a cura di Roberto Carnero in “Jesus” del gennaio 2014