Definire “setta” o “comunità ecclesiale” quella che si propone come una chiesa cristiana non è mai un incidente lessicale ma esprime un preciso giudizio di merito.
Francesco si è rivolto al pastore Traettino chiamandolo ripetutamente fratello e pastore, definendosi poi egli stesso “pastore dei cattolici”. Una simmetria di linguaggio che non passa inosservata.
Un secondo elemento di rilievo del discorso di Francesco è quello che ha maggiormente impressionato gli osservatori: il riferimento alle leggi fasciste che repressero e impedirono il culto pentecostale perché nocivo “della purezza della razza”.
La sorpresa sta nel fatto che la famigerata circolare Buffarini Guidi del 1935 che segnò una svolta persecutoria nei confronti di una componente dell’evangelismo italiano, è una pagina poco nota degli anni della dittatura: persino sottovalutata se si pensa che anticipava temi e provvedimenti poi inclusi nelle leggi razziali promulgate nel 1938. Francesco non ha avuto paura di tirare fuori dall’armadio lo scheletro di quella vicenda di cui furono complici – come ha voluto sottolineare – anche dei cattolici. Ancora oggi quella circolare che comportò l’arresto e l’invio al confino di alcuni pentecostali, così come la chiusura di decine di chiese in tutta Italia, è una ferita aperta nella coscienza civile nazionale: averla richiamata non è stata una semplice “concessione” ai pentecostali ma può interpretarsi anche come la denuncia di un cammino della libertà religiosa che in Italia era e resta particolarmente tortuoso.
Terzo elemento, la richiesta di perdono per quelle norme che uccidevano la libertà di culto e di coscienza: sobriamente, con parole pronunciate a braccio ma non improvvisate, il papa ha chiesto perdono per “quei fratelli [cattolici] che sono stati dalla parte del diavolo”. Udite queste parole, qualcuno ha subito preso la penna rossa e sottolineato che la responsabilità di quei provvedimenti fu dello Stato e non di alcuni cattolici; altri hanno voluto rimarcare che il papa abbia chiesto perdono per l’errore di “cattolici” e non della “chiesa cattolica”: osservazioni forse condivisibili nel merito ma comunque non rilevanti rispetto alla sostanza del ragionamento e dell’atteggiamento del papa che ha ammesso che suoi fratelli nella fede furono corresponsabili di scelte che ferirono nello spirito e nella carne migliaia di uomini e di donne.
Una quarta ragione per guardare con interesse all’incontro di Caserta non attiene a ciò che è stato detto ma a ciò che non è stato (più) detto. Da anni, infatti, i vertici vaticani responsabili delle strategie ecumeniche sottolineavano la convergenza tra cattolici ed evangelical – e tra essi comprendevano anche i pentecostali – sulle questioni etiche: leggi sull’aborto, fecondazione assistita, riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. Quasi a dire, “divisi sul fronte teologico, ci ritroviamo uniti su quello etico della contrapposizione a una modernità secolarizzata e priva di valori”. Abbozzato da Giovanni Paolo II, questo ragionamento si è rafforzato con Benedetto XVI che ne ha ricavato una vera e propria strategia ecumenica. Francesco inverte la rotta, non parla di etica ma dell’unità dei cristiani nella figura di Gesù.
Quinta ed ultima considerazione, strettamente collegata con la precedente: se così è con papa Bergoglio si archivia quella strategia di ecumenismo “a stadi” teorizzata e praticata negli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI. L’ecumenismo di prima fila con gli ortodossi, quello di seconda con gli anglicani sempre che non radicalizzino le loro posizioni in materia di consacrazione delle donne e su alcuni temi etici, quindi con gli evangelical con i quali Roma condivide valori “non negoziabili” e poi via via luterani, riformati, metodisti, battisti… Uno schema non più circolare – i famosi raggi della ruota che convergono in Cristo – ma piramidale e gerarchico.
Anche a questo riguardo papa Francesco cambia il passo, adottando un linguaggio proprio del movimento ecumenico al quale il protestantesimo – anche italiano – ha riccamente contribuito: ecumenismo non come sfera dell’“uniformità” – ha affermato Bergoglio di fronte ai pentecostali della Chiesa della Riconciliazione – ma come “poliedro”, “un’unità con tutte le parti diverse.
Ognuna ha la sua peculiarità, il suo carisma. Questa è l’unità nella diversità”. Qualcuno ha criticato il fatto che il papa abbia affidato questo messaggio a una piccola componente della grande e composita famiglia pentecostale italiana: la Chiesa della Riconciliazione non ha infatti relazioni con le ben più consistenti Assemblee di Dio in Italia (ADI) o con la Federazione delle chiese evangeliche pentecostali (FCP). Ma in questo caso il messaggio ci pare più rilevante del destinatario e comunque nulla sembra ostacolare un dialogo che potrebbe allargarsi e comprendere altre componenti del mondo pentecostale. Sempre che queste lo vogliano e scelgano di condividere il cammino ecumenico di alcuni network pentecostali mondiali che da anni partecipano a dialoghi ecumenici con la Chiesa di Roma: i testi comuni cattolico-pentecostali sulla Koinonia (1989), sul proselitismo (1997) e sulla conversione a Cristo a partire dai testi patristici (2006) dimostrano la praticabilità di un confronto che un tempo era difficile persino immaginare.
Dopo gli incontri con i rappresentanti delle grandi famiglie del protestantesimo, la fraterna citazione dei valdesi, il rilancio dell’ecumenismo come cammino dell’unità nella diversità: si potrà restare “ecuscettici” e persino “ecudiffidenti” ma è difficile non prendere atto di un cambiamento di passo nel cammino ecumenico del papa argentino.
Paolo Naso in “NEV” - notizie evangeliche -del 13 agosto 2014