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03/10/2014 16:37:00

“Confiscati…bene?". Le riflessioni di Linares (Pd) su sequestro e confisca

Lo scorso 6 settembre 2014, in occasione della Festa dell’Unità, magistralmente organizzata dal Partito Democratico, Circolo di Erice, si è tenuta in Piazza Pertini una tavola rotonda sulla difficile problematica dei beni confiscati alla mafia. Al forum hanno preso parte, tra gli altri, il Segretario Provinciale Marco Campagna, la sen. Pamela Orru e il sen. Franco Mirabelli, componente della Commissione Parlamentare Antimafia. E’ arrivato per via telefonica, inoltre, il saluto, molto gradito, dell’ on. Davide Mattiello (Commissione Antimafia) che non è potuto essere presente a causa di un’interruzione dei trasporti. 

Quella di trattare, in occasione della festa, un argomento così serio e spesso anche volutamente evitato dalla politica, si è dimostrata un’iniziativa proficua, stante che erano presenti molti cittadini e il dibattito si è svolto di fronte a un’attentissima platea.
Parlare di lotta alla mafia, nella sua particolare accezione strategica di sottrazione dei patrimoni alle associazioni di stampo mafioso, mediante sequestro e confisca, è certamente una questione nella quale nel corso degli anni si sono riscontrati degli effettivi profili di criticità. In particolare, le maggiori note critiche riguardano ancora oggi principalmente l’aspetto puramente politico e quello socio-culturale, che è diretta conseguenza dei problemi di carattere politico. Approfondendo poi non mancano certo anche degli aspetti piuttosto critici di carattere tecnico-giuridico.
E’ doveroso ricordare che fu l’on. Pio La Torre ad evidenziare per primo l’importanza di spezzare il legame esistente tra determinati beni e le associazioni mafiose, intaccando il potere economico di quest’ultime e ponendo in risalto l’oscuro confine tra economia legale e quella illegale. Sicchè fu egli stesso a proporre la confisca dei beni ai mafiosi, con una proposta che diventò legge (Legge Rognoni-La Torre) nel 1982, quattro mesi dopo la sua morte per mano della mafia.
Successivamente, dopo quattordici anni dalla morte di La Torre ed una legge di iniziativa popolare si capì che era necessario restituire i beni confiscati alla società. Ciò è avvenuto con la Legge 109/96, solo dopo che l’associazione Libera raccolse un milione di firme per l’iniziativa. La legge ha previsto, infatti, l'assegnazione dei patrimoni e delle ricchezze di provenienza illecita a precisi soggetti - Associazioni, Cooperative, Comuni, Province e Regioni - in grado di restituirli alla cittadinanza, tramite servizi, attività di promozione sociale e lavoro. Nella legge in questione viene sancito un principio fondamentale: i beni confiscati non devono essere rivenduti per evitare che, attraverso stratagemmi e manovre, possano tornare nelle mani sbagliate.
Un altro obiettivo importante è stato raggiunto nel 2010 con l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con sede principale a Reggio Calabria e con a capo un Prefetto. Il compito dell’ente è quello di centralizzare la gestione dei beni confiscati alla mafia e di verificare che i soggetti che sono risultati assegnatari dei beni, provvedano al loro utilizzo conformemente alle finalità per le quali si è proceduto alla destinazione, pena la revoca della stessa. Purtroppo, però, negli anni l’agenzia non ha funzionato correttamente. La ragione è che probabilmente non è stata dotata di personale sufficiente, piuttosto che adeguato, né dei fondi necessari tanto che ha già più volte rischiato la chiusura.
E’evidente però che la normativa sul sequestro e la confisca dei beni andrebbe razionalizzata e resa omogenea attraverso un testo unico. Non ha giovato a tal fine, però, il Testo Unico Antimafia che, in quanto extra ordinem, non ha aggiunto nulla di nuovo alla normativa precedente.
Spesso la colpa dei malfunzionamenti del sistema è stata attribuita come al solito alla macchina burocratica. Tuttavia, a esser sinceri, esiste il serio timore che una certa politica tenda ad un vero boicottaggio della normativa in esame e sarebbe grave e pericoloso, soprattutto per la Sicilia, se davvero ci fosse una subdola intenzione di dimostrarne il fallimento.
Certamente, occorre osservare che l’attuale esperimento di governo insieme ad altre forze politiche, non solo risulta imbarazzante per il PD, ma ha anche “partorito” una gestione del Ministero dell’Interno che, nonostante le apparenze di facciata, non è affatto di aiuto per la risoluzione delle criticità esistenti e, al contrario, sembra ripercuotersi in modo inquietante nell’ “ecosistema politico” siciliano.
La verità è che i nostri rappresentanti, in passato e anche oggi, sembrano aver fatto e continuato a fare davvero poco per la causa.
Oggi, infatti, non è ancora esistente un albo dei beni confiscati che, aldilà di ciò che di tanto in tanto viene reso pubblico grazie a coraggiose inchieste giornalistiche, li renda noti, visibili e disponibili a tutti coloro che, in virtù dei principi sanciti dalla Legge 109/96, potrebbero usufruirne. Non esiste quindi una vera e propria “anagrafe” dei beni confiscati per monitorarli costantemente al fine di segnalare le emergenze ed intervenire tempestivamente.
Inoltre, nel 2008 è stato istituito il Fondo Unico di Giustizia, un fondo patrimoniale gestito dal Governo italiano. Tra gli altri crediti, nel fondo confluiscono tutti i proventi, e ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale, sequestrati e/o confiscati nell’ambito di procedimenti penali, dell'applicazione di misure di prevenzione o di irrogazione di sanzioni amministrative. Sembra che dal 1 agosto 2011 al 31 luglio 2012 il Ministero dell'Interno e il Ministero della Giustizia abbiano rispettivamente percepito dal F.U.G. circa centododici milioni di euro. Nessuno, però, sa bene come venga utilizzato questo denaro. Pensiamo in quanti modi si potrebbero rafforzare e migliorare i mezzi di contrasto alle mafie: potrebbe essere abrogata la disciplina dell’autofinanziamento, al fine di creare un fondo per la gestione dei beni, utilizzando il contante sequestrato e reinvestirlo negli immobili e nelle aziende in difficoltà; potrebbero ancora essere azionati dei corsi di formazione per amministratori giudiziari competenti che siano in grado di programmare piani a medio e a lungo termine per le aziende confiscate.
Ma oggi non è ancora neanche stata ampliata la sfera di soggetti ai quali sia consentito fare richiesta di utilizzo dei beni confiscati alle mafie. Lo stesso vale per la destinazione di utilizzo di questi beni.
Ed è facile che, in virtù delle difficoltà economiche a cui le aziende confiscate vanno incontro, alla fine cresca e si diffonda il timore sociale che la confisca dei patrimoni aziendali di derivazione mafiosa comporti disoccupazione. Eppure non si è ancora provveduto ad aiutare in nessun modo le aziende, mediante l’istituzione di strumenti di finanza agevolata e di incentivazione fiscale o mediante l’introduzione di facilitazioni contributive per il mantenimento dei dipendenti. Così come non è stata approvata una legge per la tutela di tutti i dipendenti delle aziende sotto confisca per garantire loro gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori dei settori in crisi.
Durante la fase processuale poi, nessuno ovviamente paga i mutui accesi dai mafiosi. Ma, incredibilmente, gli interessi di mora per il mancato pagamento delle rate continuano a crescere e quando, a sentenza passata in giudicato, il bene diventa proprietà dello Stato, questo diventa debitore nei confronti della banca. Perché allora non pensare a degli accordi con le banche, per porre fine alla crescita di interessi sui mutui relativi agli immobili confiscati? E’ inconcepibile che senza la tutela dei boss molte ditte non siano più competitive e vadano fuori mercato.
In conclusione, se la soluzione al problema non può certo essere trovata in Sicilia, i siciliani qualcosa possono fare. Prima di tutto, però, occorre che dal Pd, compreso quello di Trapani, vengano avanzate in futuro delle proposte credibili e che non vengano ripetuti gli errori del passato.
Solo per avere un’idea, infine, l’articolo 31 dello Statuto della Regione Siciliana conferisce grandi poteri di impulso sotto il profilo dell’ordine pubblico al Governo Regionale, tra cui la facoltà di disporre della polizia di stato, delle forze armate e di varie iniziative di concerto con il Governo nazionale. Di conseguenza andrebbe ritenuto che, per una questione di tale importanza, quale è quella della confisca dei patrimoni mafiosi, il Presidente della Regione avrebbe il dovere di trovare di concerto con il Governo nazionale delle misure esclusive di emergenza, per far fronte ai suddetti problemi ed in particolare prevedere aiuti concreti alle aziende confiscate che versano in condizioni critiche.
L’importante però è sbrigarsi per trovare nuove forme di tutela e per non far si che quando arriva lo Stato, le imprese affoghino nei debiti, perché ciò, come già spesso ribadito, sarebbe il vero fallimento italiano della lotta alle mafie.

Marcello Linares
(Partito Democratico)