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31/10/2014 06:45:00

Salemi, il cimitero dimenticato e la battaglia di Vito Surdo

 Può un popolo dimenticare i propri morti? Non può. E’ la risposta ovvia. Ma se ciò accade, può trasformarsi questo oblio in un’onta infamante? Rischia di diventarla, se non si corre ai ripari.

In tempi di Ebola e alla vigilia della ricorrenza dei defunti, mi sembra quanto mai pertinente raccontare la storia che vede come protagonista il dottore Vito Surdo.

Da quando è ritornato a Salemi, sua città nativa, il notissimo ortopedico, dopo tanti anni di encomiabile carriera presso l’ospedale di Mirano nel Veneto, ha deciso di dedicare parte del suo tempo e delle sue energie ad una nobile impresa.

Onorare, cioè, la memoria di diverse centinaia di defunti dimenticati da Dio e dal Popolo. Stiamo parlando, come annota Salvatore Cognata nella sua “Guida storico-artistica di Salemi”, di circa seicento persone morte a causa del colera del 1837.

La terribile malattia, a partire dalla Russia, colpì tutta l’Europa, attraversando la Germania, la Francia e tutto lo Stivale italico, arrivò fin sulle colline di Salemi alla fine dell’agosto dello stesso anno, dove provocò lutti e disperazione in larghi strati della popolazione, nella maggioranza dei casi tra i più poveri e i poco protetti.

Fu calcolato in oltre duemila i colpiti dal morbo.

Da noi interpellato, lo storico Luigi Caradonna Favara ci ha confermato di avere lavorato sull’argomento. Per una disposizione appositamente predisposta dalla diocesi, fu vietato il seppellimento dei colerosi nel cimitero comunale.

La tumulazione doveva avvenire in un sito extramoenia. Lo stesso spazio fu poi utilizzato nella successiva epidemia colerica del 1854. Ma questa volta non in una fossa comune, ma singolarmente. Un immane e silenzioso lavoro il suo, passando giornate a consultare i polverosi libri parrocchiali della Madrice e della Chiesa della Catena. Dei seicento seppelliti nella fossa comune ne ha identificati ben 500.

Mentre la medesima consultazione non ha potuto effettuare con quelli della Misericordia. I cui libri misteriosamente sono scomparsi. Scarsa oculatezza della gestione della parrocchia, ci precisa, citando i nomi di due parroci.

A questo punto, i lettori, che non conoscono lo spirito umanitario e la caparbietà di cui è dotato il dottore Vito Surdo, si chiederanno come e quando egli abbia deciso d’imbarcarsi in questa sua encomiabile opera di recupero della memoria collettiva per restituire a dei morti dimenticati il giusto e meritato tributo, che sempre si deve riconoscere ai propri antenati.

Come quasi tutte le decisioni importanti che si prendono, anche questa ha il crisma della casualità. Nulla di premeditato.

Dalle lettura di “Storie, storielle e bagarate”, un suo originale e sorprendente libro, giunto in questi giorni alla sua terza edizione, veniamo a conoscenza di come sono andate le cose fin dall’inizio.

Nel capitolo “ I morti dimenticati” apprendiamo che galeotto fu un libro.

Complice una giornata piovosa che lo costringe a rinviare un’escursione programmata. Quale migliore atmosfera per darsi alla lettura?

La scelta cade su un romanzo storico il cui autore è, ironia della sorte, un altro medico salemitano. Si tratta di Alessandro Catania, vissuto nel secolo scorso, e che nel 1929 pubblica con il titolo “Gli Illusi” , un libro che può considerarsi senz’altro un’opera d’interesse storico, oltre che interessante dal punto di vista umano e sociale. Storie salemitane che s’intersecano tra le viuzze, le famiglie, le vicende dei suoi abitanti e le sue tradizioni.

Nel libro, ad un certo punto, viene descritto Don Stanislao, un uomo sofferto che “nell’epidemia colerica del 1837 aveva perduto la moglie lasciandogli quattro figli, due maschi e due femmine” e che ogni lunedì “facesse tempo cattivo o bello, d’estate oppure d’inverno, si recava al cimitero dei colerosi, poco distante da Salemi, al Serrone, a recitare una preghiera per la perduta moglie”.

La notizia dell’esistenza di questo secondo cimitero in Salemi fa sobbalzare il dottore Surdo sulla poltrona su cui era assorto comodamente nella lettura.

Non solo. Fu argomento di discussione nel dopo cena a casa di amici.

Il figlio Alessandro e la moglie Sara, si dimostrarono molto critici verso i salemitani e tutte le amministrazioni succedutesi dal dopoguerra in avanti.

Per loro era incomprensibile che così facilmente si fossero dimenticati gli antenati, lasciando il sito nel più completo abbandono. “I morti sono un patrimonio; noi non esisteremmo se non ci fossero stati loro” questa fu la loro lapidaria conclusione.

 

Comprensibile il loro stupore, provenendo da altre terre.

Ma non per chi scrive queste note. Sapendo amaramente come persino tanti figli illustri di questa città mai sono stati onorati adeguatamente con testimonianze di una certa valenza. L’elenco completo sarebbe lunghissimo. Ne citiamo tre. Solo nel campo musicale, due grandissimi, come Alberto Favara e Tony Scott, universalmente noti, e persino di Alessandro Catania non vi è traccia. Nemmeno una via intestata per Catania e Scott. Ma nessun manufatto che li ricordi sia ai concittadini sia a chi arriva da fuori per tutti e tre.

Ecco. E’ stata questa l’occasione in cui il dottore Vito Surdo, forse per avere provato un pizzico di vergogna per il severo giudizio espresso dai suoi familiari, ha preso l’impegnativa decisione. L’imperativo impostosi, è molto chiaro. Risarcire l’onorabilità e la memoria a questi morti dimenticati.

Senza soldi pubblici, ci precisa subito.

Assieme ad altri amici finanzierà l’intera opera. Hanno calcolato che ci vorranno pressappoco tremila euro. Dei quali duemila sono già in cassa. Frutto della vendita del suo libro “Storie, storielle e bagarate”. Che invitiamo ad acquistare e leggere. Non per il solo motivo umanitario ma perché denso di istruttivi, divertenti e singolari storie e aneddoti.

Al Comune quindi non verranno chiesti soldi, ma solo alcuni adempimenti di tipo tecnico-burocratico. Come, ad esempio, l’identificazione catastale dell’area di proprietà comunale ( circa mille mq) con relativa picchettatura e il tracciamento di una strada di accesso al sito. Il progetto prevede la pulitura del terreno, una adeguata recinzione e l’elevazione di un cippo, utilizzando le grosse pietre che ancora si trovano accatastate sul posto.

Per la sua esecuzione si avvarranno delle competenze dell’architetto Vito Scalisi e di altri volontari.

Quel cimitero, frequentato da parenti dei defunti fino ai primi del 900, fu via via lasciato all’incuria e all’abbandono. Persino delle otto sepolture singole non è rimasta traccia. Per alcuni anni un cippo in pietra con sopra una grande croce in ferro lo indicava ai passanti che andavano al lavoro nei campi. Oggi il nulla. Quando ci siamo recati sul posto per scattare alcune foto, abbiamo avuto una stretta al cuore, immaginando che sotto le pietre erose dalle intemperie seicento corpi invocassero un segno tangibile di memoria.

Un primo segnale lo abbiamo trovato. Due ghirlande di fiori non ancora appassiti lasciate dopo una recente cerimonia religiosa voluta da Surdo e compagni.

Si riuscirà, dopo due secoli, a ridare dignità a queste vite falcidiate dall’epidemia e sepolti oltre che da una bianca coltre di calce da un manto nero dell’abbandono e dell’indifferenza ?

La natura intanto – ci dice Vito Surdo- ha compiuto un atto di pietà inimmaginabile che sa di miracolo: sul luogo crescono spontanee numerosissime piantine di Asphodelus, che nell’antichità veniva considerato il fiore dei morti..”

Ancora una volta la Natura ha avuto un comportamento migliore di quello dell’uomo.

Domenico Venuti, il giovane nuovo sindaco, si è impegnato per la parte di competenza del Comune a intervenire e presto.

Che sia questa la volta buona? Che dopo la Natura anche gli Uomini oggi facciano il loro “miracolo”? Quegli antenati troveranno finalmente la pace eterna?

Vogliamo crederlo.

 

Franco Ciro Lo Re