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04/02/2025 20:00:00

 La cattiveria dell’uomo nel contesto odierno. Il giusto soccombe, l'ingiusto trionfa

Il giusto soccombe e l’ingiusto trionfa - Un invito a riflettere per chi si reputa “potente”

Viviamo, ci muoviamo, abitiamo in un mondo nel quale tutto sta cambiando, anzi è già cambiato radicalmente: valori, abitudini, tradizioni, politica, rapporti etico-sociali, affettivi, educativi… non sono quelli di una volta che provenivano dalla natura stessa dell’uomo, da una sua esigenza di trasmettere ideali di vita. Oggi più che mai assistiamo a un ribaltamento e troviamo difficoltà a comprendere anche con la sola ragione e dare motivazioni plausibili. La menzogna avvolge il mondo e lo tiene bloccato in uno ‘scacco matto’.

Non si vuole affermare che la storia sia andata sempre fluida ma che le antinomie si sono talmente accentuate nel tempo da non discernere, l’opinione pubblica, ove sta il bene e ove il male. È nato un conflitto interiore e sociale che sta distruggendo l’umana convivenza: siamo, per certi versi, ai primordi dell’era primitiva: non capire più il senso delle cose. Si reagisce con i mezzi che sono stati acquisiti finora: ci si lamenta nelle conversazioni che tutto va male, i tribunali non ce la fanno più e ricevono denunce assurde di sopraffazione, il popolo reagisce nella politica astenendosi dal voto, s’infrangono apertamente le leggi del vivere civile, i padri uccidono i figli e questi i genitori, i mariti le mogli, l’aborto è diventato prassi in nome della libertà della donna, i neonati sono abbandonati… c’è uno sminuimento della legge. Tutto si avvera in nome del progresso, dell’intellettualismo, del liberalismo, dello scientismo, del potere di dominio di un uomo sull’altro con conseguenze belliche, dell’arroganza antropologica che dice ormai di poter fare a meno di Dio e di qualsiasi legge, positiva e naturale.

È vero che il comportamento abominevole si trova annidato nell’indole umana. Già troviamo agli albori della creazione che Caino, per invidia, uccide il fratello, uomo giusto: «Caino disse al fratello Abele: “Andiamo in campagna!”. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise» (Gn 4,8). Il profeta Isaia, alcuni secoli prima della venuta di Cristo, avverte: «Il popolo userà violenza: l’uno contro l’altro, individuo contro individuo; il giovane tratterà con arroganza l’anziano, lo spregevole il nobile. Perché uno afferrerà il fratello nella casa del padre: “Tu hai un mantello: sii nostro capo; prendi in mano questa rovina!”» (Is 3,5-6). Nel libro di Giobbe, anch’egli uomo giusto e timorato di Dio, leggiamo che il male, per mano di satana, si scaglia contro di lui. E nella Genesi, parlando dei figli di Giacobbe leggiamo: «I suoi fratelli (di Giuseppe) vedevano che il loro padre l’amava più di tutti gli altri fratelli; perciò l’odiavano e non potevano parlargli amichevolmente» (Gn 37,4). E un giorno: «Essi lo videro da lontano e, prima che egli fosse vicino a loro, complottarono per ucciderlo. Dissero l’uno all’altro: “Ecco, il sognatore arriva! Forza, uccidiamolo e gettiamolo in una di queste cisterne; diremo poi che una bestia feroce l’ha divorato e vedremo che ne sarà dei suoi sogni”» (Gn 37,18-20).

Gesù, il Giusto, fu preferito a Barabba, un assassino, e condannato tra due malfattori, dandogli da bere aceto e fiele (cf. Mt 27,34.48). Ai giorni nostri si continuano a registrare crimini continui da parte degli uomini: hanno perso ogni ritegno nei confronti di chiunque, anche dei parenti. Il giusto è considerato disonesto e il malvagio un galantuomo. Il comportamento legale è ritenuto illegale e viceversa. Questo alla luce del sole. Non esiste più un’etica di vita con la quale confrontarsi e che frenava la persona prima di compiere un’azione immorale. I giovani hanno paura del giudizio dei loro simili che li deridono e così la formazione impartita dalla scuola e dalla famiglia non trova posto nelle loro coscienze. I politici governano a favore di se stessi e non della collettività dalla quale sono stati eletti e per la quale devono operare. Il loro egoismo e partitismo sovrasta su tutte le ragioni pur di salvaguardare il loro potere, attuando e giustificando il motto machiavellico: “Il fine giustifica i mezzi”. Gli strumenti di comunicazione di questo tempo sono una fucina di diseducazione, malvagità, empietà... Nel film del 2024, diretto da Chris Renaud “Cattivissimo me 4” si messaggia il motto del liceo: “stai calmo e sii cattivo”.

Ma è proprio vero che chi tace abbia torto e chi alza la voce abbia ragione? Chi sta in alto debba essere sempre vincente e chi in basso stia sempre a guardare e subire? Che l’organo del corpo ferito non debba gridare dal dolore in modo da coinvolgere la restante parte? Eppure sappiamo che se una parte del corpo soffre, tutto il corpo si attrezza per creare anticorpi perché la parte malata guarisca! «Anzi – scrive San Paolo - proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1Cor 12, 22-26). A volte siamo di fronte a un’assurdità e dobbiamo constatare che l’animale peggiore sulla terra è proprio l’uomo: è una contraddizione continua! L’uomo ha perso la capacità della valutazione morale del proprio agire, intesa come criterio massimo della moralità.

Le esortazioni non sono mai mancate e continuano a essere valide: «Se agisci bene, - dice Dio - non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo» (Gn 4,7). Isaia ricorda: «Beato il giusto, perché avrà bene, mangerà il frutto delle sue opere. Guai all’empio, perché avrà male, secondo l’opera delle sue mani sarà ripagato» (Is 3,10-11). E nella Lettera di Barnaba, quasi parafrasando il suddetto passo, cita: «Guai all’anima vostra, perché hanno preso una cattiva decisione che va contro se stessi, dicendo: “Leghiamo il giusto, perché ci è di incomodo”» (6,7).

Siamo responsabili gli uni degli altri come se fossimo noi stessi, perché carne come noi e creature di Dio. Dopo l’uccisione di Abele, il Signore chiese a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Caino rispose allora come avremmo risposto noi oggi: «Sono forse il guardiano di mio fratello?». Molti declinano, ancora ai giorni nostri, questa responsabilità, pur sapendo di aver fatto del male al ‘fratello’ che ci sta accanto, come se questo bastasse a sedare la propria coscienza. Ma Dio che parla nel cuore dell’uomo lo riprende: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra» (Gn 4,8-12).

Nel libro del Levitico della vecchia alleanza Dio ordina: «Fra i volatili saranno obbrobriosi questi, che non dovrete mangiare, perché obbrobriosi: l’aquila, l’avvoltoio e l’aquila di mare, il nibbio e ogni specie di falco, ogni specie di corvo, lo struzzo, la civetta, il gabbiano e ogni specie di sparviero» (Lv 11,13-16). Barnaba, facendo l’esegesi di questo versetto, li paragona agli uomini che sono immondi ed empi come gli uccelli che sono appollaiati in attesa di fare una rapina (Lettera 10,10). Forse in queste categorie potrebbe trovarsi qualcuno di noi. Guai però!

Non sempre nel piano pedagogico di Dio chi è calpestato rimane tale perché Egli «Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote».
Nel Nuovo Testamento Dio è paziente e misericordioso con chi compie il male. Matteo ci ricorda: «Avete udito che fu detto: ‘Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? E se fate accoglienza soltanto ai vostri fratelli, che fate di singolare? Non fanno altrettanto anche i pagani? Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,43-48).

Accogliamo l’invito di Cristo che continua a esortarci nel tempo attraverso i suoi vicari, i papi. Raccogliamo l’appello di San Giovanni Paolo II che nella Valle dei Templi ad Agrigento nel 1993, con voce accorata, rivolgendosi ai mafiosi ebbe a tuonare: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via, verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!»

Dio, a differenza degli uomini, apre sempre le braccia e dà la possibilità di sperare perché il mondo migliori. Il Giubileo del 2025, indetto da Papa Francesco, ha il tema dell’attesa perché l’uomo diventi ‘pellegrino di speranza’, non si senta solo e abbia ancora il desiderio di retrocedere dalla sua cattiveria per potersi salvare.
Perché ognuno si senta corresponsabile, secondo le capacità e bontà proprie, nel costruire un nuovo umanesimo, Albert Einstein, fisico e filosofo tedesco, scriveva: «Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai delinquenti, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare».

Erice, Salvatore Agueci