Il senatore Beppe Lumia ha presentato un'interrogazione al Ministero dell'Interno che fa il punto sulla lotta alla mafia a Castelvetrano, chiedendo al Ministro quali iniziative intende portare avanti nell'interesse della parte onesta della comunità di Castelvetrano. Ecco il testo
Atto n. 4-03022
Pubblicato il 18 novembre 2014, nella seduta n. 353
LUMIA - Al Ministro dell'interno. -
Premesso che, per quanto risulta all'interrogante:
come si apprende da notizie di stampa, 2 anni fa (12 aprile 2012) l'imprenditrice Elena Ferraro, legale rappresentate di un centro di diagnostica, la "Hermes" di Castelvetrano (Trapani), ha ricevuto la "visita" di Mario Messina Denaro, cugino del pericoloso boss di Cosa nostra, Matteo. Era venuto a proporle un affare che non si poteva rifiutare, ma la giovane imprenditrice di 35 anni non ebbe alcun dubbio e recandosi in questura denunciò tutto. Un anno dopo, arrivarono gli arresti (dicembre 2013). In questa circostanza, nell'ambito dell'operazione denominata "Eden" contro la cosca mafiosa di Matteo Messina Denaro, latitante da 21 anni, la Regione Siciliana, nella persona del presidente Crocetta, ha mostrato la vicinanza e la solidarietà all'imprenditrice vittima di estorsioni, costituendosi parte civile nel processo nel quale Antonella Agosta (Germania), Matteo Agosta (Palermo), Francesca Maria Barresi (Castelvetrano), Girolamo Cangialosi (Carini), Lea Cataldo (Campobello di Mazara), Lorenzo Cimarosa (Castelvetrano), Aldo Tonino Di Stefano (Campobello di Mazara), Francesco Fabiano (Paceco), Floriana Filardo (Salemi), Giovanni Filardo (Castelvetrano), Valentina Filardo (Salemi), Francesco Guttadauro (Palermo), Girolama La Cascia (Castelvetrano), accusata di favoreggiamento per non avere denunciato una presunta estorsione subita, Aldo Roberto Licata (Palermo), Antonino Lo Sciuto (Castelvetrano), Francesco Luppino (Campobello di Mazara), Giuseppe Marino (Palermo), Michele Mazzara (Paceco), Mario Messina Denaro (Castelvetrano), Patrizia Messina Denaro (Castelvetrano), Antonella Montagnini (Milano), Vincenzo Peruzza (Castelvetrano), Giuseppe Pilato (Erice), Rosario Pinto (Palermo), Nicolò Polizzi (Campobello di Mazara), Pietro Luca Polizzi (Castelvetrano), Francesco Spezia (Erice), Salvatore Torcivia (Palermo), Vincenzo Torino (Napoli), Giovanni Faraone (Palermo) vennero raggiunti da procedimento di custodia cautelare;
il coraggio di chi denuncia deve essere sempre sostenuto e promosso, specialmente in un territorio difficile come quello che ha dato i natali al capo di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. La giovane imprenditrice ha raccontato così l'accaduto all'Adnkronos: «Si presentò nel mio studio, senza nemmeno dirmi il suo nome di battesimo, ma ricordandomi minacciosamente di essere "il capo di tutto". Poi mi propose un affare: una convenzione con una clinica di ortopedia di Partinico, nel palermitano. Io avrei dovuto fare delle fatture gonfiate e il denaro in più che ne avrei ricavato avrei dovuto consegnarlo a lui. Mi disse esplicitamente che quei soldi servivano a sostenere le famiglie dei detenuti»;
il 14 settembre 2014 un nuovo chiaro segnale intimidatorio ha colpito l'imprenditrice: qualcuno introducendosi all'interno della sua azienda ha reciso alcuni cavi della macchina della Tac. La Polizia scientifica avrebbe accertato che si tratta di un intervento doloso e che i cavi sono stati recisi di netto a seguito dell'intrusione furtiva nei locali della clinica "Hermes" sita in via Sapegno, n. 24, nel quartiere "Badia" dove vivono i familiari di Matteo Messina Denaro. Il sindaco della città di Castelvetrano Selinunte, avvocato Felice Errante, appresa la notizia del danneggiamento, ha voluto manifestarle la solidarietà dell'intera comunità;
nel mese di ottobre 2014 l'interrogante ha visitato la struttura gestita da Elena Ferraro alla presenza di Pasquale Calamia, dell'ex preside del liceo classico di Castelvetrano Francesco Fiordaliso e di una delegazione di "Libera". Il quel contesto si è svolta un'iniziativa antimafia proprio nel quartiere "Badia" di Castelvetrano, dove vivono i più stretti familiari del boss: la mamma, i figli della sorella Patrizia, anch'essa coinvolta, del cognato sposato con l'altra sorella. In questa occasione è stata sfatata per la prima volta l'idea che nel quartiere di Matteo Messina Denaro non potessero svolgersi iniziative antimafia;
il 31 ottobre il presidente del Consiglio comunale di Castelvetrano ha convocato un Consiglio comunale aperto con il seguente ordine del giorno: "Quali iniziative per la legalità e la lotta alla mafia a Castelvetrano" che ha visto la partecipazione del presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta, l'interrogante, il sen. Vincenzo Santangelo, il prefetto di Trapani, dottor Leopoldo Falco, monsignor Domenico Mogavero, i parlamentari regionali Baldassare Gucciardi, Giuseppe Lupo e Giovanni Lo Sciuto, dando così un chiaro segnale di solidarietà e vicinanza all'imprenditrice. Segnale che 2 anni prima non era stato dato dal Comune come afferma amareggiata la stessa Elena Ferraro «Mario Messina Denaro è stato condannato per il tentativo di estorsione che ho subito, ma il Comune di Castelvetrano ha dimenticato di costituirsi parte civile». Per la prima volta ad un'iniziativa del Consiglio comunale e dell'amministrazione locale guidata dal sindaco, si interveniva con parole forti e scelte chiare e dirompenti contro le mafie. Il sindaco ha ribadito la scelta di togliere la cittadinanza a Matteo Messina Denaro e ha coinvolto i presenti in un confronto su possibili progetti antimafia;
a pochi giorni dal Consiglio comunale aperto, un incendio di vaste dimensioni ha distrutto il ristorante pizzeria "Rocca Longa" di Selinunte. I Vigili del fuoco hanno diramato un comunicato, a firma del responsabile della comunicazione sostituto direttore capo Pietro Silvano, nel quale si legge che «alle ore 00,45 circa di oggi 04 novembre, due squadre di questo Comando, coordinati sul posto dal Funzionario tecnico reperibile, intervenuti con n. 5 automezzi e 12 unità, hanno lavorato per tre ore per spegnere l'incendio del ristorante-pizzeria denominato "Rocca Longa", di proprietà della società "Il Sole e La Luna Srl", di cui è Amministratore Unico il signor Pizzo Quinto Antonio». Il ristorante non era più in esercizio. Infatti, da circa un mese il locale era stato chiuso e al proprio interno erano stati depositati tavoli e sedie e tutto il materiale di arredo. L'incendio ha completamente distrutto il locale e fortunatamente non ci sono stati danni a persone. Se si tratta di un incendio doloso lo stabiliranno i Vigili del fuoco e la magistratura, ma va evidenziato che Antonio Pizzo, il proprietario del locale, è socio fondatore dell'associazione antiusura e antiracket "LiberoFuturo" di Castelvetrano costituita nell'estate 2013 e facente parte della Federazione antiracket italiana, presieduta da Tano Grasso. Antonio Pizzo ha svolto diverse iniziative pubbliche per promuovere la denuncia contro le richieste estorsive e si è battuto per la tutela ambientale del territorio e per promuovere tra gli imprenditori locali soggiogati dalla paura e dall'omertà verso Matteo Messina Denaro, la denuncia all'autorità giudiziaria delle richieste estorsive;
ed ancora il caso di Nicola Clemenza, presidente dell'associazione antiracket "Libero Futuro" di Castelvetrano, insegnante e imprenditore agricolo di Partanna, che è riuscito a convincere 200 imprenditori agricoli del Belice a opporsi al cartello mafioso che controlla il mercato dell'olio nella zona e per questo, il giorno dell'inaugurazione del consorzio, la sua macchina è stata incendiata, causando danni anche all'abitazione davanti alla quale era parcheggiata per oltre 27.000 euro;
stesso coraggio aveva avuto tempo fa Pasquale Calamia, consigliere comunale a Castelvetrano. Calamia ha denunciato Cosa nostra rompendo il silenzio delle Istituzioni andando incontro a ritorsioni subendo diversi atti intimidatori tra cui: l'incendio della sua autovettura nella notte tra il 12 ed il 13 agosto 2008 verso le ore 02,30, l'incendio nella sua abitazione di Triscina nella notte tra il 22 ed 23 novembre 2008 dove venivano posti 8 lumini funerari a forma di croce, il giorno successivo ha ricevuto una telefonata anonima dal tono minaccioso: "Così… va bene?". Nel marzo 2010 a seguito dell'operazione di polizia denominata "Golem II", in cui sono stati effettuati 18 arresti a Trapani e 19 ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei fiancheggiatori del capo di Cosa nostra Matteo Messina Denaro emerge dal video delle indagini e dalle intercettazioni ambientali che Lorenzo Catalanotto, Marco Manzo e Giovanni Risalvato risultano essere gli esecutori materiali dell'incendio dell'abitazione estiva sita nella contrada Triscina, strada 50, e che l'incendio era stato programmato e studiato dal mese di ottobre 2008. In seguito nel dicembre 2011 Calamia è stato chiamato come testimone e parte offese del processo Golem II. Il 29 settembre 2012 alle ore 16,30-17,00 ha ricevuto una nuova telefonata minatoria dove si dice: "Ancora ama cummattiri….. cu sti cosi?". Ed ancora nel settembre 2013 a seguito della visita istituzionale dell'assessore regionale al territorio ed ambiente a Castelvetrano sul tema dell'abusivismo edilizio, la mattina del 28 settembre ha trovato la propria auto con tutte e 4 le gomme tagliate;
va anche segnalato il prezioso e altrettanto coraggioso impegno del preside Francesco Fiordaliso, ora in pensione, che nella direzione del liceo classico di Castelvetrano ha educato intere generazioni alla cultura e all'impegno antimafia sino al punto di coinvolgere in percorsi progettuali diverse scuole, promuovendo manifestazioni pubbliche dove è stato consentito di fare denunce circostanziate così come è avvenuto quando l'interrogante stesso durante un dibattito si è rivolto alla figlia Lorenza del boss Matteo Messina Denaro, invitandola a convincere il padre a collaborare con lo Stato sull'esempio di Peppino Impastato che della rottura del familismo mafioso ne aveva fatto un punto di svolta per liberarsi e liberare il territorio dall'omertà mafiosa;
inoltre è opportuno segnalare la storia complessa e naturalmente da seguire e verificare nei suoi sviluppi futuri di Lorenzo Cimarosa che sembra abbia intrapreso un percorso di rottura con il contesto familiare e mafioso con denunce pubbliche rilevanti per un giovane e per il suo ambito territoriale. È un percorso difficile e in salita che va sostenuto, per quanto sempre verificato, come afferma il vescovo della diocesi di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero: «Giuseppe Cimarosa è un giovane che i cittadini onesti, le associazioni culturali e d'impegno sociale e le Istituzioni non devono lasciare solo in questo percorso di riscatto intrapreso dopo la collaborazione del padre Lorenzo con la giustizia». Figlio del boss Lorenzo Cimarosa che ha iniziato un rapporto con l'autorità giudiziaria, ma ancora deve definirsi se un semplice dichiarante oppure un collaboratore di giustizia che a pieno titolo rompe con la mafia, ne prende le distanze, non solo sui fatti già in parte accertati dalla magistratura, ma su tutto quanto di sua conoscenza. Sarebbe importante che la storia del figlio potesse essere di esempio e contribuire a far maturare nel padre la scelta di una piena collaborazione con lo Stato;
un'altra storia emblematica del cammino di cambiamento del territorio è la vicenda della 6 Gdo Srl appartenente a Giuseppe Grigoli, accusato di essere il cassiere nonché braccio destro del noto latitante Matteo Messina Denaro, vicenda segnalata dall'interrogante in un precedente atto di sindacato ispettivo (3-00740). Una vicenda drammatica perché al sequestro e alla confisca non si è accompagnata un'altrettanto decisiva fase di rilancio occupazionale e produttiva dell'azienda in nome del binomio inscindibile di legalità e sviluppo che deve caratterizzare una moderna lotta alla mafia. Dopo alterne vicissitudini, spesso con scelte non sempre felici da parte dei rappresentanti delle istituzioni e dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che hanno seguito la fase giudiziaria della vicenda dei supermercati Grigoli, si sono aperti ad oggi spiragli per la ripartenza dell'attività produttiva. Il Ministro in indirizzo si è recato a Castelvetrano il 25 settembre 2014, assieme al prefetto Umberto Postiglione, capo dell'Agenzia nazionale per ufficializzare il ritorno in attività di un bene confiscato, il centro commerciale "Belicittà", appartenuto al boss latitante Messina Denaro e al suo braccio destro Giuseppe Grigoli. Belicittà faceva parte di un "impero commerciale", il gruppo 6Gdo, che gestiva supermercati in mezza Sicilia, una confisca da 700 milioni di euro;
un altro importante risultato da segnalare è la revoca dell'autorizzazione della cava ad opera del Governo Crocetta e dell'assessore pro tempore Salvatore Calleri. L'autorizzazione della cava era della "Firenze Vincenzo Srl" ed era stata rilasciata nel 2006. Le indagini hanno portato a risalire al legame tra il titolare Rosario Firenze, gestore della cava, e Matteo Messina Denaro. Rosario Firenze è "compare" di Patrizia Messina Denaro (sorella del superlatitante) e del marito Vincenzo Panicola, che avrebbero battezzato il figlio. Non è la prima volta che i Firenze ricorrono nell'ambito di questioni di mafia. Già tempo fa Lorenzo Cimarosa (cugino acquisito del super boss) aveva parlato di loro nell'ambito dell'operazione "Eden", descrivendolo come «persona ben agganciata anche col comune di Castelvetrano, tanto da essere chiamato a intervenire o ad eseguire lavori dalla commare Patrizia, anche nel privato». Rosario Firenze, inoltre, avrebbe svolto dei lavori, senza appalto, per il Comune di Castelvetrano in più occasioni. Addirittura nel 2011, a causa della "somma urgenza", si occupò dell'eliminazione delle alghe dal porto di Marinella di Selinunte. Tra le pagine dell'inchiesta ci sarebbe anche un'intercettazione in cui 2 donne parlano del rinvenimento in un fondo agricolo di materiale di risulta proveniente da demolizioni depositato da ignoti su indicazione del "signor Firenze (…) Saro", che risulta "legato ai Messina Denaro (…) sono una cricca";
il difficile contesto territoriale in cui sono avvenuti i fatti richiamati è controllato dalla famiglia mafiosa che fa capo a Matteo Messina Denaro e alle famiglie a lui vicine. Infatti, come si apprende dalla relazione annuale della Direzione nazionale antimafia del 2013: «Il mandamento di Castelvetrano, in ragione della sua posizione geografica e dello spessore della "famiglia" mafiosa che ivi è insediata, svolge oggi un ruolo centrale negli equilibri di Cosa nostra. Ai Messina Denaro appare, infatti, riconducibile non soltanto l'indiscussa leadership sul mandamento, ma anche un ruolo di decisiva preminenza, unitamente al sodalizio mazarese, in seno all'organizzazione di Cosa nostra dell'intera provincia e dello stesso vertice regionale, in uno ad una solida alleanza con il gruppo dei corleonesi, ben testimoniata dalla partecipazione alla strategia stragista continentale del '93. Il Mandamento, a cui capo è Matteo Messina Denaro, ricomprende le famiglie di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Salaparuta e Poggioreale (questi ultimi due centri formano un'unica famiglia), Partanna, Ghibellina, Santa Ninfa; Il profondo radicamento nel territorio consente al Messina Denaro, latitante dal 1993, di sottrarsi alle ricerche degli organi inquirenti, pur continuando ad esercitare in concreto la propria supremazia criminale. Nel 1998 l'operazione "progetto Belice" ha consentito l'arresto dell'ultimo dei Messina Denaro ancora in libertà, il fratello Salvatore; solo due giorni dopo l'operazione, l'anziano patriarca Messina Denaro Francesco, latitante dal 1988, è stato rinvenuto cadavere in aperta campagna, deceduto per arresto cardiaco. Salvatore Messina Denaro, scarcerato nel 2006, è stato nuovamente tratto in arresto il 15 marzo 2010, nell'ambito dell'operazione "Golem II", che ha portato alla decapitazione dei vertici della famiglia mafiosa castelvetranese e della schiera di collegamento con il latitante»;
Matteo Messina Denaro, la "primula rossa" di Cosa nostra, è considerato il capo mandamento di Castelvetrano, figlio di don Ciccio, a suo tempo capo dello stesso mandamento. Ha commesso i primi delitti al servizio di Leoluca Bagarella fino a diventare l'uomo di fiducia di Bernardo Provenzano, con il quale comunica a mezzo di "pizzini". Dopo l'arresto di Provenzano gli inquirenti ritenevano che avrebbe assunto il ruolo di capo di Cosa nostra insieme a Salvatore Lo Piccolo, allora latitante e arrestato il 5 novembre 2007. Nel marzo 2014 è stato diramato il suo ultimo identikit disegnato dai finanzieri del GICO, rimanendo ad oggi non solo capo indiscusso delle famiglie mafiose del trapanese, ma estendendo la propria influenza anche in altri territori,
si chiede di sapere:
quali iniziative il Ministro in indirizzo voglia intraprendere per garantire la sicurezza di tutti i cittadini di Castelvetrano;
quale sostegno intenda dare alle associazioni antiracket che operano in questo complicatissimo contesto mafioso;
quali garanzie di sicurezza siano state intraprese per l'incolumità di Elena Ferraro e di tutti quelli che si sono esposti andando contro il sistema delle collusioni affaristico-mafiose;
quali progetti concreti di legalità e sviluppo voglia intraprendere a sostegno del territorio.