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17/12/2014 06:05:00

L'olio extra vergine d'oliva Dop di Matteo Messina Denaro

 Per alcuni è una novità. In realtà si tratta sempre dello stesso schema: la mafia fa soldi dove ci sono soldi da fare. E poi, da noi, la mafia ha avuto sempre una vocazione agricola. Non stupisce, pertanto, che sia empre più variegato il mondo degli affari del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro. Dopo il business dell’eolico, come hanno scoperto gli uomini della Guardia di Finanza di Palermo, guidati dal generale Giancarlo Trotta, il capomafia più ricercato d’Italia ha puntato sull’olio doc. La conferma è arrivata dalle ultime indagini che  hanno portato al sequestro di beni per 20 milioni di euro a presunti fiancheggiatori del boss Messina Denaro. Il sequestro dei beni effettuato dai carabinieri del Ros e dalla Guardia di finanza nei confronti del clan mafioso trapanese di Matteo Messina Denaro riguardano soprattutto aziende olearie ed edilizie.

Il provvedimento nel dettaglio colpisce: Antonino, Lo Sciuto, 44 anni, di Castelvetrano, per 250.611 euro, Francesco Spezia, 40 anni, di Erice per 2.188.090 euro, Vincenzo Torino, 56 anni, di Napoli, per 1.826.337 euro, Aldo Tonino Di Stefano, 48 anni, di Campobello di Mazara  per 550.338 euro, Nicolò Polizzi, 59 anni, di Campobello di Mazara per 3.339.698 euro, Mario Messina Denaro, 59 anni, di Castelvetrano per 8.021.212 euro, Giovanni Filardo, 51 anni, di Castelvetrano per 3.390.010 euro, Girolamo Cangialosi, 56 anni di Carini per 777.191 euro.

Il sequestro ha interessato diversi soggetti ed imprenditori, tutti arrestati nel dicembre 2013 in quanto coinvolti, a vario titolo, nel supporto alla latitanza del boss e nel controllo degli interessi economici riconducibili a quest’ultimo. I provvedimenti concludono indagini economico – patrimoniali svolte congiuntamente dal Gico del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, dallo Scico della Guardia di Finanza di Roma e dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani, sotto la direzione della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo. La ricostruzione patrimoniale ha permesso di definire le infiltrazioni di Cosa nostra e dei suoi leader storici, fra cui Matteo Messina Denaro, negli affari di diverse societa’ ed attivita’ agricole e commerciali, dislocate in diverse province della Sicilia e del Sud Italia. In particolare, l’indagine ha fatto luce sulle modalita’ di controllo delle attivita’ economiche e produttive sul territorio, da parte della cosca capeggiata dal Messina denaro, attraverso la gestione occulta di societa’ e imprese di diretta emanazione criminale, operanti in svariati settori. Le investigazioni hanno permesso di svelare, oltre alle personali responsabilita’ penali degli indagati nell’azione di supporto alla latitanza del boss trapanese, l’esistenza di un circuito imprenditoriale teso ad assicurare un completo controllo economico del territorio nel settore dell’edilizia e del relativo indotto, mediante la gestione e la spartizione di importanti commesse.

Tra i soggetti interessati dai provvedimenti ha assunto particolare rilievo la posizione di Giovanni Filardo, cugino del boss latitante, al quale e’ stata contestata la titolarita’ di fatto di societa’ operanti nel settore dell’edilizia. A fronte di redditi esigui, aveva evidenziato significative disponibilita’, sia di tipo aziendale che personale, che sono risultate di provenienza illecita. Precedenti attivita’ investigative della Squadra mobile di Trapani hanno invece evidenziato il ruolo di Francesco Spezia, nella condotta finalizzata all’intestazione fittizia della Spe.Fra Costruzioni srl. Gli accertamenti hanno, inoltre, fatto emergere elementi di interesse investigativo sul livello di collocazione all’interno dell’organizzazione di Vincenzo Torino e Aldo Tonino Di Stefano, quali prestanome della Fontane d’oro sas, impresa operante nel settore olivicolo, ritenuta di importanza cruciale sul territorio campobellese. L’articolata attivita’ aveva gia’ permesso di accertare la riconducibilita’ alla famiglia mafiosa di Castelvetrano di diverse attivita’ economiche, controllate da Antonino Lo sciuto, le cui vertenze per la spartizione dei guadagni venivano risolte, in taluni casi, da Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro, quale collettore delle relazioni connesse all’attivita’ di sostentamento della famiglia dei Messina Denaro e dello stesso latitante. Le indagini hanno altresi’ documentato come Lo Sciuto abbia gestito, per conto dell’organizzazione, la realizzazione di importanti commesse pubbliche e private nell’area di Castelvetrano, tra le quali figurano le strade della zona industriale e le opere di completamento del cosiddetto “Polo Tecnologico” di contrada Airone, nonche’ i lavori per le piazzole e le sottostazioni elettriche del parco eolico denominato “Vento Divino”, nel comune di Mazara del Vallo, a seguito di un accordo spartitorio con quest’ultimo mandamento mafioso. In tale contesto, sono state anche accertate le modalita’ di aggiramento dei vincoli imposti dal protocollo di legalita’ sottoscritto con la Prefettura di Trapani dall’appaltatore del parco eolico, l’impresa “Fabbrica Energie Rinnovabili Alternative Srl”. La piena riconducibilita’ delle vicende societarie alla famiglia del latitante veniva confermata dai conflitti sulla spartizione degli utili d’impresa, ritenuta iniqua da Patrizia Messina Denaro e da Rosa Santangelo, zia del ricercato, con l’intervento risolutore, anche in questo caso, di Francesco Guttadauro.

Il dispositivo comprende, inoltre, le indagini sviluppate nei confronti di Nicolo’ Polizzi, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, ritenuto uno dei principali referenti dei flussi di comunicazioni mafiose verso la provincia di Palermo, con particolare riferimento ai contatti preparatori delle riunioni, tra il noto Francesco Luppino e i responsabili dei mandamenti di Cosa Nostra palermitana. Luppino avrebbe costituto, infatti, all’epoca in cui le articolazioni palermitane di Cosa Nostra stavano tentando di ricostituire la Commissione Provinciale, il referente trapanese delle comunicazioni destinate a Matteo Messina Denaro. Dopo l’arresto di Luppino, lo sviluppo delle investigazioni nei confronti di Nicolo’ Polizzi ha consentito l’acquisizione di elementi che, oltre a confermarne la contiguita’ al latitante di Castelvetrano, definivano il ruolo di condizionamento delle commesse pubbliche e private in ambito locale.

In particolare, Polizzi emergeva quale referente nella gestione di alcune operazioni propedeutiche alla realizzazione del villaggio turistico della catena Valtur, in localita’ Tre Fontane a Campobello di Mazara, ad opera della societa’ Mediterraneo Villages spa di Carmelo Patti, originario di Castelvetrano. Un ruolo di particolare importanza per il sostegno logistico al latitante sarebbe stato offerto anche da Girolamo Cangialosi che, nel novembre 2007, avrebbe partecipato alla predisposizione delle condizioni logistiche per l’effettuazione di un incontro tra Francesco Luppino e gli allora latitanti Sandro e Salvatore Lo Piccolo, nonche’ da Mario Messina Denaro, cugino del latitante, il quale, come e’ emerso sviluppando le indagini svolte dalla Squadra Mobile di Trapani, si era reso protagonista di attivita’ estorsive sul territorio, per reperire le somme necessarie al sostegno economico dei familiari dei detenuti in carcere. Tra i beni sottoposti a sequestro si annoverano 3 societa’, 7 quote societarie e 4 ditte individuali, 12 autovetture, 4 veicoli industriali, 1 motociclo, 13 autocarri, 3 semirimorchi, 1 fabbricato industriale, 1 immobile a destinazione commerciale, 8 immobili ad uso abitativo, 29 terreni, 4 fabbricati rurali, polizze assicurative, titoli azionari, rapporti bancari, depositi a risparmio, per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro.