Le ‘spie’ al Comune di Mazara del Vallo non sono ben accette. E a scriverlo, nero su bianco, è la responsabile per la lotta alla corruzione, Antonina Marascia. “Chi fa la spia non è figlio di Maria” è l’assunto del suo pensiero, rivolto ai dipendenti del suo Comune. La dirigente, infatti, non crede alle recenti norme nazionali emanate in materia di contrasto alla corruzione. L’avversione alle spie della Marascia – che è anche segretario generale e responsabile della trasparenza della Città del satiro – emerge tra le diverse risposte, inserite nel questionario-relazione annuale, da lei redatto, e dedicato al contrasto della corruzione nel Comune di Mazara del Vallo.
Tale documento, la cui redazione è obbligatoria, è stato pubblicato sul sito internet dell’Ente a fine anno: serve a fornire una specie di fotografia sulle attività messe in campo dall’amministrazione della Città del satiro, per combattere il fenomeno della corruzione. E per vincere questa battaglia la legge (D. P. R. 16 aprile 2013, n. 62 che riprende il decreto legislativo n. 165/2001) prevede, anche, che si usi lo strumento delle segnalazioni protette dall’anonimato. La corruzione, infatti, costa al Belpaese 60 miliardi di euro l’anno.
La ‘spia’ – come viene etichettata nella relazione chi segnala gli illeciti – è l’ipotetico impiegato comunale che, accortosi di un reato commesso da un altro dipendente, dovrebbe denunciarlo al responsabile Anticorruzione.
La relazione anticorruzione 2014 – “Non si condivide la procedura dal punto di vista etico e culturale. Chi fa la spia non è figlio di Maria. Basta con la cultura dell’anonimato” è la dicitura completa, inserita in risposta nel questionario inviato al ministero competente. La singolare replica è contenuta nella sezione della relazione in cui si chiede al Comune di ‘formulare un giudizio sul sistema di tutela del dipendente pubblico che segnala gli illeciti’.
Che l’Ente locale mazarese non intenda agevolare le ‘gole profonde’, almeno non con questo strumento, appare evidente anche in seguito, continuando a leggere la relazione. La procedura per raccogliere le segnalazioni di illeciti, da parte di dipendenti pubblici dell’amministrazione, infatti, “non era prevista dal Piano Triennale Prevenzione Corruzione (PTPC) con riferimento all’anno 2014”.
“La mia è una critica all’istituto della tutela di chi fa la spia – ha replicato al QdS la responsabile per la prevenzione della corruzione, Antonina Marascia – e sono disposta a difenderla, può non essere elegante, ma confermo: chi fa la spia non è figlio di Maria. È una cosa che non condivido a livello personale, perché non è vero che il dipendente che denuncia un collega è tutelato al 100%. Se tu hai le palle ci metti la tua firma, io sono per la verità, l’anonimato non funziona! Io penso – prosegue la Marascia – che bisogna metterci non solo la faccia, ma la pelle pure! Se tu hai la certezza, le prove che un tuo collega intasca le tangenti vai dai Carabinieri e lo denunci: è un reato, cosa c’entra il segretario comunale? Questo piano anticorruzione – continua la responsabile Anticorruzione – è una follia, è fatto di carte su carte, ci costringe a fermarci, non ho il tempo di occuparmi dei miei cittadini: di garantire servizi e uffici migliori. Il 31 dicembre, con tutto il personale in ferie, ho dovuto chiamare il messo comunale per pubblicare questo cazzo di relazione perché, se no, vengo condannata io. Lo puoi scrivere: il segretario si è rotto i coglioni! È uno sfogo legittimo – conclude la Marascia – mi devo difendere dai cecchini che mi sparano addosso? Almeno le pallottole me le becco belle in pieno e mi prendo la soddisfazione di dire come la penso!"