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11/02/2015 14:55:00

"Se la battaglia ai boss diventa gioco politico"

In Sicilia detta legge da qualche anno un’antimafia senza anima, estranea ai siciliani, senza origine, un’antimafia che non ha radici nel sentimento più profondo dell’isola. È un’antimafia padronale che — non sempre, ma spesso — si impone per i propri interessi economici e per le proprie convenienze politiche. È una consorteria che nulla a che fare con la storia nobile e dolorosa dell’antimafia che comincia a Portella della Ginestra e passa per Pio La Torre. È un’antimafia di pochi.
La vicenda di Antonello Montante, presidente regionale degli industriali e delegato per la «legalità» di Confindustria — al di là di quale piega prenderà l’inchiesta giudiziaria che lo coinvolge — è la metafora di quest’antimafia che fra Palermo e Catania, Caltanissetta ed Agrigento, ha instaurato in nome della «battaglia contro i boss» una sorta di
regime dove chiunque si schieri contro di essa è bollato come nemico e a volte persino come mafioso.
L’esperienza felice degli imprenditori che, fra il 2007 e il 2008, si erano ribellati al racket del pizzo si è trasformata in un «sistema» che sta soffocando libertà e pensiero in Sicilia. Qualcuno — a torto — la chiama «dittatura dell’Antimafia», in realtà è una struttura di potere flessibile dove c’è tutto e il contrario di tutto secondo necessità. Così può accadere che un piccolo impresario di provincia come Montante — pur avendo nel suo pedigree frequentazioni assai sospette e testimoni di nozze assai mafiosi — diventi un «simbolo», poi forse l’uomo più potente della Sicilia e poi ancora a capo di una cordata che decide — con la benedizione di molti — prima la formazione del governo di quel Raffaele Lombardo condannato a quasi sette anni per mafia e poi di quel Rosario Crocetta che dalla mafia era stato minacciato. Mafia e antimafia che si mischiano, che si
confondono. Eccola la flessibilità del potere.
Basta autoproclamarsi dalla parte della legalità sempre e comunque e sfilare nelle parate con ministri e prefetti, questori,procuratori della repubblica, giornalisti, intellettuali. L’antimafia padronale si fa ideologia e detta l’agenda politica, organizza proteste e meeting, stabilisce in Sicilia gli stati di emergenza dei rifiuti, indirizza lo sviluppo economico, piazza assessori, distribuisce incarichi pubblici e ricche consulenze, assume familiari (anche di investigatori antimafia) e amici. E poi si piazza — su proposta del ministero dell’Interno — a quell’Agenzia dei beni confiscati. Un capolavoro. Chissà dove finiranno prima o poi le ricchezze strappate ai boss.

Attilio Bolzoni, La Repubblica, 10 Febbraio 2015