In Sicilia detta legge da qualche anno un’antimafia senza anima, estranea ai siciliani, senza origine, un’antimafia che non ha radici nel sentimento più profondo dell’isola. È un’antimafia padronale che — non sempre, ma spesso — si impone per i propri interessi economici e per le proprie convenienze politiche. È una consorteria che nulla a che fare con la storia nobile e dolorosa dell’antimafia che comincia a Portella della Ginestra e passa per Pio La Torre. È un’antimafia di pochi.
La vicenda di Antonello Montante, presidente regionale degli industriali e delegato per la «legalità» di Confindustria — al di là di quale piega prenderà l’inchiesta giudiziaria che lo coinvolge — è la metafora di quest’antimafia che fra Palermo e Catania, Caltanissetta ed Agrigento, ha instaurato in nome della «battaglia contro i boss» una sorta di
regime dove chiunque si schieri contro di essa è bollato come nemico e a volte persino come mafioso.
L’esperienza felice degli imprenditori che, fra il 2007 e il 2008, si erano ribellati al racket del pizzo si è trasformata in un «sistema» che sta soffocando libertà e pensiero in Sicilia. Qualcuno — a torto — la chiama «dittatura dell’Antimafia», in realtà è una struttura di potere flessibile dove c’è tutto e il contrario di tutto secondo necessità. Così può accadere che un piccolo impresario di provincia come Montante — pur avendo nel suo pedigree frequentazioni assai sospette e testimoni di nozze assai mafiosi — diventi un «simbolo», poi forse l’uomo più potente della Sicilia e poi ancora a capo di una cordata che decide — con la benedizione di molti — prima la formazione del governo di quel Raffaele Lombardo condannato a quasi sette anni per mafia e poi di quel Rosario Crocetta che dalla mafia era stato minacciato. Mafia e antimafia che si mischiano, che si
confondono. Eccola la flessibilità del potere.
Basta autoproclamarsi dalla parte della legalità sempre e comunque e sfilare nelle parate con ministri e prefetti, questori,procuratori della repubblica, giornalisti, intellettuali. L’antimafia padronale si fa ideologia e detta l’agenda politica, organizza proteste e meeting, stabilisce in Sicilia gli stati di emergenza dei rifiuti, indirizza lo sviluppo economico, piazza assessori, distribuisce incarichi pubblici e ricche consulenze, assume familiari (anche di investigatori antimafia) e amici. E poi si piazza — su proposta del ministero dell’Interno — a quell’Agenzia dei beni confiscati. Un capolavoro. Chissà dove finiranno prima o poi le ricchezze strappate ai boss.
Attilio Bolzoni, La Repubblica, 10 Febbraio 2015