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17/05/2015 06:05:00

La Chiesa dello Stellario ad Alcamo. Uno scempio impunito

 Quando, qualche anno fa, in occasione di un viaggio con Claudia ad Istanbul (ma io amo chiamarla Costantinopoli), capitale fino al 29 maggio 1453 dell’Impero Romano d’Oriente, entrai nella splendida e maestosa Hagia Sofia, capolavoro di architettura romana che Giustiniano volle a suggello della gloria di Dio (e della sua!), non potei fare a meno di farmi il segno della Croce.

Santa Sofia, infatti, non è più chiesa cristiana, ma per me è ancora uno dei punti dove cielo e terra si toccano. Entrando a Santa Sofia, sotto gli sguardi dolci e tristi dei santi e della Madonna, nei pochi mosaici salvati dalla follia umana seguita alla caduta di Costantinopoli, sentivo tutta la sacralità di una Chiesa, che nessun decreto umano potrà mai cancellare. Quando uscii pensai che avevo fatto una cosa buona e giusta e mi rifeci il segno della Croce recitando piano un Pater, un Ave ed un Gloria.

Anche ad Alcamo abbiamo una piccola Hagia Sofia ed anche in questo ambiente, una volta Chiesa, entrando mi faccio la croce. E’ un mio modo (questa volta più discreto) di rendere giustizia a Dio per un torto che ritengo, noi alcamesi in primis, gli abbiamo fatto. Mi riferisco all’abominevole, indecente demolizione della Chiesa dello Stellario nella centralissima piazza Ciullo. Demolizione feroce, scriteriata, senza alcun rispetto per la storia di quel luogo sacro che da secoli accompagnava la vita religiosa e civile della nostra Alcamo.

Certe volte, salendo le scale della banca che ha preso il suo posto, mi fermo a metà della prima rampa: lì c’era il tabernacolo del Santissimo ed io me lo ricostruisco con il ricordo. Per me c’è ancora, invisibile agli occhi degli uomini, visibile e presente agli occhi della Fede. Quando qualche anno fa, in occasione della prematura scomparsa dell’indimenticato Enrico Cassarà, geniale animatore culturale e splendido compagno di lavoro, insieme ai colleghi invitammo Padre Cottone nei locali dove lavoriamo ogni giorno per un ricordo spirituale di Enrico, ebbi l’impressione che tutta la struttura fosse inondata di sole e di luce. I colori del marmo rosso di Castellammare, del travertino, brillavano di una luce ancor più intensa.

Benedetto XVI in una  lettera agli artisti ha affermò  a riguardo della tutela dei beni culturali, che ogni generazione non ha il diritto di togliere alla successiva il godimento di un bene culturale o paesaggistico: l’esempio della Chiesa dello Stellario di Alcamo è eclatante. Nulla è sotto salvato, né l’elegante portale, né le antiche cripte. Mi chiedo e chiedo a voi: ma dove erano gli intellettuali alcamesi negli anni Sessanta? E la Sovrintendenza? E gli assessori alla pubblica istruzione? E i Sindaci? E la stessa Chiesa locale, che in tempi record nel giugno del 1957 la sconsacrò e nel luglio del 1958 la vendette?

Non si poteva chiedere che fosse salvato almeno lo storico prospetto? E che dire dello spettacolo osceno dei morti che da secoli riposavano nelle cripte buttati via insieme al materiale di risulta? L’assassinio dello Stellario avvenne senza che nessuno vide, senza che nessuno sentì, senza che nessuno parlò. Fu la prova generale di Alcamo Marina, una città fantasma che da lì a poco, in un trentennio, sarebbe sorta, senza che nessuno vedesse, sentisse e (quando mai!) parlasse.

***

E così, nel colpevole silenzio di chi poteva dire una parola e nell’abulia di chi poteva fermare lo scempio, scomparve la Chiesa dello Stellario, un pezzo della storia di Alcamo. E non è vero che quella Chiesa fosse un rudere: fino alla metà degli anni Cinquanta vi si svolgevano ritiri spirituali per studenti ed universitari. Addirittura nel 1939 una ricca vedova alcamese, Maria De Blasi Casale, aveva finanziato di tasca sua il rifacimento del tetto. D’altra parte le foto parlano chiaro e ci dicono che prima di essere demolito lo Stellario non era in condizioni fatiscenti.

Parte del clero alcamese fece una discreta ma ferma resistenza alla sconsacrazione, alla vendita ed all’abominio della demolizione finale. In particolare Monsignor Giuseppe Barone, splendida figura di integerrimo sacerdote, geniale umanista e grande intellettuale, guidò il tentativo di salvare la chiesa. Insieme a Monsignor Barone si opposero il Canonico Vito Stabile, ultimo rettore dello Stellario, il vecchio canonico Vito Ospedale, i canonici Giuseppe Varvaro e Vincenzo Calandrino, sacerdoti che vissero la sconsacrazione debello Stellario come un errore irreparabile, con sentimenti di grande tristezza e di mortificazione. La Chiesa poteva diventare un ottimo auditorium, un museo o semplicemente poteva rimanere (ed io sono di questo parere) una chiesa, un luogo privilegiato dell’incontro tra Dio e gli uomini.

La Chiesa dello Stellario, dopo sei anni di agonia tra vendita e demolizione, fisicamente non c’è più, però tutti abbiamo il dovere della memoria ricordando gli errori fatti da una intera collettività, perché in quei mesi quasi nessuno spese una pur simbolica parola. Tutti abbiamo ucciso lo Stellario. Ma se ogni tanto pensiamo a questo angolo di piazza Ciullo per ciò che è stato per ben quattro secoli, allora lo Stellario in qualche modo è ancora lì, a segnare con i rintocchi della sue campane i momenti tristi e i momenti lieti delle generazioni di alcamesi che si sono succedute nei secoli. E questo nonostante la campana dello Stellario, melanconicamente, in un brutto giorno della metà degli anni Sessanta, abbia suonato, per l’ultima volta, solo per se stessa e per la cattiva coscienza degli alcamesi che nulla fecero per salvare il proprio passato, mercificando il presente, abbrutendo il futuro.

Luigi Culmone